I livelli del colesterolo e le stagioni

I livelli del colesterolo e le stagioni

Numerosi studi hanno rilevato variazioni stagionali dei livelli lipidici nel sangue con un picco rilevato nella stagione invernale.

Abbiamo parlato nel precedente articolo di come l’esposizione al sole contribuisca alla diminuzione dei livelli di colesterolo nel sangue. Sebbene il meccanismo alla base delle variazioni stagionali dei livelli lipidici non sia del tutto chiaro, sembra, però, che non solo il sole ma più fattori giochino un ruolo nella tendenza all’aumento di colesterolo in inverno.

Lo studio su questo fenomeno è stato effettuato negli Stati Uniti e pubblicato su Archives of Internal Medicine su 517 volontari sani da un’organizzazione di manutenzione sanitaria al servizio del Massachusetts centrale.

I dati raccolti durante un periodo di 12 mesi per ciascun individuo includevano dati demografici di base e antropometrico trimestrale, lipidi nel sangue, dieta, attività fisica, esposizione alla luce e informazioni comportamentali. I dati sono stati analizzati utilizzando tecniche di modellazione di regressione sinusoidale.

Lo studio suggerisce anche che le variazioni stagionali del livello di colesterolo siano diverse negli uomini rispetto alle donne. In particolare, è stata rilevata una maggiore variabilità nella popolazione femminile. L’ampiezza della variazione stagionale era di 3,9 mg/dl negli uomini, con un picco a dicembre e 5,4 mg/dl nelle donne, con un picco a gennaio. Il livello medio di colesterolo totale era di 222 mg/dl negli uomini e 213 mg/dl  nelle donne. L’ampiezza stagionale era, inoltre, maggiore nei partecipanti ipercolesterolemici. Complessivamente, il 22% in più di partecipanti ha avuto livelli di colesterolo totale di 240 mg/dL o maggiore in inverno che in estate.

I cambiamenti stagionali nel volume del plasma hanno spiegato una percentuale sostanziale della variazione osservata.

Questo studio conferma la variazione stagionale dei livelli lipidici nel sangue e suggerisce una maggiore ampiezza nella variabilità stagionale nelle donne e negli individui ipercolesterolemici, con variazioni nella conta dei volumi plasmatici per gran parte della variazione.

Sembra che la variazione stagionale del colesterolo dipenda anche dalla quantità maggiore di sangue in circolo durante il periodo estivo (ipervolemia) legato all’aumento della temperatura e/o dell’attività fisica e, al contrario, una relativa emoconcentrazione (cioè un aumento della percentuale di parte corpuscolata del sangue) invernale.

Il fenomeno, inoltre, sembra più marcato nelle aree del mondo in cui le variazioni climatiche legate alle stagioni sono particolarmente forti. In Finlandia, ad esempio, sono state rilevate escursioni stagionali del livello di colesterolo di 100 mg/dl. Studi condotti negli Stati Uniti hanno invece rilevato variazioni più limitate, con una differenza stagionale nel livello di colesterolo di soli 7,4 mg/dl.

I cibi bollino rosso e i metodi di cottura per il controllo del colesterolo

I cibi bollino rosso e i metodi di cottura per il controllo del colesterolo

Per mantenere sotto controllo il colesterolo, gli esperti suggeriscono di limitare alcune categorie di alimenti. Più che eliminarli del tutto dalla propria dieta quotidiana si tratta di consumarli con moderazione e di seguire una dieta varia ed equilibrata.

Ecco le categorie di cibo a cui prestare più attenzione:

  • Grassi saturi di origine animale: burro, lardo, strutto, panna, margarina. Gli alimenti a maggiore contenuto di colesterolo e grassi saturi sono altamente sconsigliati in caso di ipercolesterolemia
  • Oli vegetali saturi: olio di palma, olio di colza, olio di cocco
  • Carne rossa: si tratta di uno degli alimenti che contiene più colesterolo. In condizioni di colesterolo già alto, il suo consumo andrebbe drasticamente limitato. Bisogna, invece, preferire carne bianca e i tagli magri. Il pollo va consumato senza pelle.
  • Salumi e insaccati: ricchi di sale e grassi saturi, sono una categoria di alimenti che andrebbe completamente evitata in caso di colesterolo alto. Gli insaccati e le carni conservate in generale andrebbero consumate il meno possibile non solo in ottica di prevenzione cardiovascolare ma anche per la prevenzione dei tumori. Le linee guida ci suggeriscono di non superare i 50 grammi alla settimana
  • Frattaglie: fegato, cervello, reni, polmoni ad elevato tenore in grassi saturi.
  • Uova e latticini: possono essere consumati in quantità molto limitate. Per i latticini sono da preferire le versioni più light come latte scremato o parzialmente scremato e yogurt a bassa percentuale di grassi, evitando, invece, latte intero, yogurt cremosi e formaggi grassi ad elevato contenuto di grassi saturi come mozzarella, pecorino, grana.
  • Zuccheri semplici come glucosio, saccarosio e fruttosio industriale e prodotti da forno raffinati
  • Frutti di mare
  • Frutta esotica: cocco, avocado, noci
  • Bevande alcoliche, gassate e zuccherine: da abolire soprattutto nei casi di ipercolesterolemia associata a ipertrigliceridemia
  • Cibi spazzatura
  • Caffè: per il caffè è opportuno puntare sull’acquisto di un prodotto di qualità, privilengiando tipologie meno ricche di caffeina e limitando il consumo a un massimo di 3 tazzine al giorno, senza esagerare con lo zucchero se lo si beve dolce.

È bene, inoltre, fare molta attenzione ai condimenti. L’olio extra vergine di oliva è concesso in piccole quantità e solo per condire.
Altrettanto fondamentale è il metodo di cottura di questi alimenti. Sono da evitare fritti e cotture che prevedono l’impiego di grassi, come olio e burro, e bisognerebbe preferire le cotture semplici e leggere, che mantengono integre le proprietà nutrizionali degli alimenti. In questo senso da privilegiare la cottura al vapore. Altrettanto consigliate la bollitura, le cotture alla griglia o al forno.

Sole e vitamina D potenti alleati per ridurre i livelli di colesterolo

Sole e vitamina D: potenti alleati per ridurre i livelli di colesterolo

I benefici del sole

Che il sole sia una potente medicina naturale, per di più gratuita, è ormai dimostrato da numerose evidenze scientifiche. Una moderata esposizione al sole, infatti, ha un effetto benefico sull’umore, ed è efficace nel contrastare malattie come la depressione e disturbi d’ansia, grazie all’aumento della sintesi e del rilascio della serotonina e di altri neurotrasmettitori nel cervello.
Un nuovo studio dell’University of Science and Technology of China sostiene che un’esposizione moderata alla luce solare sia persino in grado di migliorare l’apprendimento e la memoria. La ricerca, condotta da Xiong Wei e Huang Guanming, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell, ha evidenziato come l’esposizione solare attivi un nuovo percorso biosintetico del glutammato nel cervello dei topi, un percorso che è in grado di contribuire alle nostre neuro-abitudini quotidiane, come l’umore, l’apprendimento e la cognizione.

Tra le patologie che traggono maggiore beneficio dall’esposizione al sole, ci sono quelle dermatologiche: psoriasi, vitiligine, acne ed eczemi sono alleviati dall’azione antibatterica dei raggi UV.

L’esposizione ai raggi solari ha inoltre un’azione antinfiammatoria, legata all’aumento di produzione di vitamina D, che si rivela benefica nelle persone che soffrono di malattie osteoarticolari come l’osteoporosi, il rachitismo, i reumatismi e l’artrosi, ma anche di asma bronchiale o anemie.

 

E quali effetti si rilevano, invece, per quanto riguarda i livelli di colesterolo?

La stagione estiva è una grande alleata per tenerne sotto controllo l’ipercolesterolemia! In questo periodo, infatti, i livelli di colesterolo nel sangue tendono a diminuire perché questo lipide viene trasformato in vitamina D dai raggi solari attivi sulla cute. Un’esposizione corretta al sole permette, infatti, alla pelle di produrre circa il 90% del fabbisogno totale di vitamina D. Una sana tintarella, quindi, è una valida alleata per contrastare l’ipercolesterolemia.

Da un punto di vista biochimico, per vitamina D si intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da cinque diverse vitamine: D1, D2, D3, D4 e D5. Le due forme principali sono il colecalciferolo o vitamina D3, che deriva dal colesterolo ed è sintetizzato dagli organismi animali; e l’ergocalciferolo o vitamina D2, che deriva dall’ergosterolo, di origine vegetale, ed è assunto solo con l’alimentazione. Le due forme hanno attività biologica molto simile e possono essere considerate come precursori della forma attiva della vitamina D.

La vitamina D3 è sintetizzata nella cute dalla conversione del 7-deidrocolesterolo (molecola precursore del colesterolo) a previtamina D3 dopo l’esposizione ai raggi solari, attraverso una reazione proteolitica non enzimatica. La previtamina D3 è un composto intermedio instabile, che subisce rapidamente un riarrangiamento molecolare, convertendosi spontaneamente in una molecola più stabile: la vitamina D3.
È questa la spiegazione molecolare per cui l’esposizione al sole aiuta a ridurre i livelli di colesterolo. Prendere il sole in estate vuol dire, quindi, fare un sano carico di vitamina D per l’inverno, conservata nella nostra massa adiposa.

 

Ma quanto tempo esporsi al sole e quali orari sono da privilegiare?

Ad essere attive sulla sintesi della vitamina D3 sono le radiazioni appartenenti allo spettro solare degli ultravioletti con lunghezza d’onda compresa tra i 290 e i 315 nanometri, ovvero gli ultravioletti del tipo B (UVB). Per sopperire al fabbisogno fisiologico di vitamina D, l’irradiazione dovrebbe essere da cinque a dieci minuti su mani, esponendo braccia e gambe scoperte e con una frequenza di tre volte alla settimana nell’orario compreso tra le 10:00 e le 15:00.

I meccanismi di assorbimento del colesterolo

I meccanismi di assorbimento del colesterolo

Abbiamo già parlato nel precedente articolo della differenza tra colesterolo endogeno e colesterolo esogeno.

Differenza tra colesterolo endogeno e colesterolo esogeno e l’ipercolesterolemia familiare

Il primo è prodotto dal corpo stesso (in particolare dal fegato e dall’intestino); il secondo si assume, invece, attraverso il cibo.

Approfondiamo in questo nuovo articolo in modo più dettagliato come avviene l’assorbimento del colesterolo introdotto con la dieta.

L’assorbimento del colesterolo alimentare avviene a livello dell’intestino tenue, soprattutto nel duodeno e nel digiuno, tratti prossimali ed intermedi di questo segmento di tubo digerente.

Dei 300 mg di colesterolo che introduciamo approssimativamente ogni giorno con gli alimenti, ne viene assorbito soltanto il 50%. Tale percentuale varia in misura significativa in relazione alle riserve di colesterolo; per le leggi omeostatiche, infatti, l’assorbimento enterico risulta tanto inferiore quanto più abbondanti sono le riserve di colesterolo dell’organismo e viceversa.

Alla quota di colesterolo proveniente dagli alimenti, a livello del duodeno si associa quella racchiusa nella bile, pari a circa 1000 mg al giorno. Pertanto, l’organismo assorbe circa 650 mg di colesterolo al giorno (il 50% di 1300), mentre la quota rimanente viene eliminata con le feci.

La quasi totalità dei trigliceridi/acidi grassi circolanti deriva dall’assorbimento alimentare; il colesterolo introdotto con gli alimenti rappresenta invece soltanto il 20-30% del colesterolo ematico, mentre la rimanente percentuale proviene dalla produzione endogena da parte del fegato. Anche in questo caso l’entità della sintesi epatica dipende dall’apporto alimentare: tanto più questo risulta consistente, tanto minore risulta la produzione endogena e viceversa.

Metabolismo del colesterolo

In linea di massima, si stima che l’assorbimento del colesterolo a livello intestinale non possa superare il grammo al giorno.

Anche se le percentuali appena esposte possono variare sensibilmente da individuo ad individuo, è chiaro come il colesterolo alimentare influenzi in misura tutto sommato modesta i livelli di colesterolemia. Infatti, oltre al già citato limite fisiologico di assorbimento, l’aumento del colesterolo nel sangue, conseguente agli alti apporti alimentari, determina un’inibizione dell’enzima 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA reduttasi (HMG-CoA reduttasi) necessario alla sua sintesi endogena; di conseguenza, esiste un sistema omeostatico in grado di adeguare la sintesi endogena all’assorbimento intestinale.

Negli alimenti, il colesterolo è presente sia in forma libera, che in forma esterificata, cioè legato ad un acido grasso. A livello intestinale, tale legame viene scisso da un’esterasi presente nel succo pancreatico, dato che il solo colesterolo libero può essere efficacemente assorbito dalla mucosa intestinale.

Grazie all’intervento della bile, il colesterolo libero viene emulsionato in micelle, goccioline lipoproteiche ricche di fosfolipidi, acidi grassi, sali biliari e monogliceridi. Il colesterolo micellare può attraversare, quindi, passivamente la fase acquosa a contatto con le membrane cellulari degli enterociti, al cui interno viene in parte riesterificato ad opera dell’enzima acil-colesterolo-acil-transferasi (ACAT2) ed incorporato nei chilomicroni. Questi aggregati lipoproteici vengono convogliati nel circolo linfatico e da qui a quello sanguigno, che li trasporta al fegato dove vengono processati e distribuiti ai vari tessuti.

Una parte del colesterolo assorbito dalla mucosa enterica non viene incorporata nei chilomicroni (processo piuttosto lento), ma escreta dall’enterocita nel lume intestinale, quindi allontanata con le feci. Tale percentuale è nettamente elevata nel caso dei fitosteroli.

La biosintesi del colesterolo è un processo complesso e costoso in termini energetici. Perciò il riassorbimento del colesterolo endogeno (biliare), assieme all’assorbimento del colesterolo esogeno (alimentare), favorisce il risparmio dell’energia metabolica. Oltre che vantaggioso da un punto di vista energetico, l’assorbimento del colesterolo è anche indispensabile per la sopravvivenza. Gli iperassorbitori del colesterolo sono quindi avvantaggiati in situazione di penuria alimentare, mentre possono subire l’aumento della colesterolemia a seguito di un regime alimentare ricco e abbondante. Gli ipoassorbitori non hanno apparentemente nessun inconveniente da questa condizione tranne, forse, che in situazioni di estrema e prolungata restrizione alimentare o di grave stress fisico.

Che cos’è l’omeostasi del colesterolo?

Che cos’è l’omeostasi del colesterolo?

Si definisce omeoastasi l’attitudine dell’organismo vivente a conservare le proprie caratteristiche al variare delle condizioni esterne dell’ambiente tramite meccanismi di autoregolazione.

Per omeoastasi del colesterolo si intende l’insieme di quei meccanismi che hanno lo scopo di impedire eccessive variazioni, in difetto o in eccesso, dei livelli di questo lipide nell’organismo. Tali livelli sono mantenuti se la sintesi endogena e l’assorbimento intestinale sono in equilibrio con la sua escrezione fecale.

In un adulto sano, l’omeostasi del colesterolo è strettamente regolata da complessi circuiti di feedback. In questo caso, se il paziente sano mangia abbondanti quantità di colesterolo nella dieta, la biosintesi nel fegato viene notevolmente ridotta per mantenere l’equilibrio. Al contrario in condizioni di deficit di colesterolo, l’organismo risponde incrementandone l’assorbimento e la sintesi endogena.

L’organo più evidente che controlla l’omeostasi del colesterolo è il fegato perché non solo biosintetizza il colesterolo rilasciato nel sistema circolatorio, ma scompone il colesterolo potenzialmente dannoso e fluttuante dal flusso sanguigno.

 

Ruolo di HDL e LDL nel mantenimento dei livello di colesterolo

Come abbiamo visto ridurre la quota alimentare di colesterolo porta ad un aumento della sua sintesi endogena. Ma allora come limitare la sintesi endogena per ridurre i livelli di colesterolo totali? La sintesi endogena può essere limitata con l’esercizio fisico aerobico: 30-40 minuti al giorno al 50-60% della frequenza cardiaca massima stimata.

È, inoltre, importante, nella sua gestione, tenere alto il colesterolo HDL (il colesterolo buono) e abbassare il colesterolo LDL (il colesterolo cattivo).

Le HDL sono utili per mantenere l’omeostasi del colesterolo perché raccolgono e rilasciano colesterolo potenzialmente pericoloso direttamente nel fegato, dove viene sintetizzato in innocui acidi biliari utilizzati dal sistema digestivo. Le LDL operano in modo meno vantaggioso perché tendono a depositare il loro colesterolo nelle cellule del corpo e sulle pareti arteriose. Sono livelli eccessivi di LDL che hanno dimostrato di aumentare il rischio di malattie cardiovascolari.

In un adulto con un livello LDL di base elevato, a causa di anni di cattive abitudini alimentari o altre condizioni genetiche o mediche, il circuito di feedback e il meccanismo di coping sistemico possono essere sopraffatti dallo stesso apporto abbondante, causando un pericoloso squilibrio omeostatico. In questi casi, l’utilizzo di farmaci, come le statine, può aiutare il corpo a ritornare a un sano equilibrio di colesterolo.

Differenza tra colesterolo endogeno e colesterolo esogeno e l’ipercolesterolemia familiare

Differenza tra colesterolo endogeno e colesterolo esogeno e l’ipercolesterolemia familiare

I processi di sintesi e assorbimento del colesterolo sono fondamentali in termini fisiologici. Il colesterolo può essere di due tipi, endogeno ed esogeno.

Il colesterolo endogeno viene sintetizzato dall’organismo stesso in misura prevalente nel fegato, ma anche in intestino, pelle e surreni. Ogni giorno, l’organismo di un adulto produce, per fare fronte alle varie necessità, circa 600-1000 mg di colesterolo endogeno.

Alla quota di colesterolo endogeno si affianca quella assunta dall’esterno, attraverso gli alimenti, definita colesterolo esogeno. In genere, una dieta equilibrata apporta da 200 a 300 mg di colesterolo al giorno. Il colesterolo alimentare è assorbito dall’intestino tenue e finisce nel sangue.

Numerosi studi indicano che la quota endogena influisce per circa il 70-80% sui valori plasmatici di colesterolo (colesterolemia), mentre il contributo alimentare è modesto. Si tratta comunque di percentuali indicative, dal momento che l’organismo è perfettamente in grado di adattare la sintesi endogena all’apporto alimentare, e ancor di più ai livelli del lipide nell’organismo. Di fatto, la sintesi endogena viene tanto più rallentata quanto maggiore è il colesterolo ricavato dagli alimenti, e viceversa. Ne consegue che la concentrazione plasmatica del colesterolo, di solito, non varia oltre il ± 15% in risposta a variazioni dell’apporto dietetico (sebbene la risposta individuale possa variare sensibilmente).

Globalmente l’assorbimento del colesterolo alimentare è intorno al 50% con grande variabilità individuale tra ipoassorbitori (30%) e iperassorbitori ((80%), e costituisce un tratto fenotipico trasmesso geneticamente, ma influenzato anche da fattori individuali e ambientali.

Il colesterolo in eccesso viene trasportato al fegato che lo elimina attraverso l’intestino. L’aumento dei livelli di colesterolo oltre la norma deriva dalla combinazione di un’innata predisposizione genetica con fattori ambientali, quali dieta aterogenica (alto apporto di grassi saturi, idrogenti e colesterolo), obesità e sedentarietà.

 

Ipercolesterolemia familiare

In alcuni soggetti, a parità di apporto alimentare, la sintesi di colesterolo endogeno è superiore alla norma; ne consegue che qualunque sforzo dietetico atto a ridurre la colesterolemia, risulta insufficiente a riportare nella norma i livelli plasmatici di colesterolo. Si parla in questo caso di ipercolesterolemia familiare, malattia ereditaria caratterizzata da un difetto dei geni coinvolti nella sintesi dei recettori di membrana per le LDL. In assenza di tali recettori, il fegato non riesce a captare le lipoproteine IDL e LDL derivanti dal metabolismo periferico del lipide, interpretando la situazione come una carenza di colesterolo; di conseguenza, la sintesi del lipide viene esaltata.

I soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare presentano concentrazioni di colesterolo plasmatico fino a 6 volte superiori alla norma (600-1000 mg/dl). Non sorprende, quindi, come molti di questi soggetti muoiano prima dei 20 anni per fenomeni aterosclerotici e malattie correlate.

L’ipercolesterolemia familiare monogenica (omozigote) è abbastanza rara (un caso circa ogni milione di soggetti), molto più frequente è la forma eterozigote, che interessa un individuo su 500. Questa condizione più moderata, definita ipercolesterolemia poligenica, presenta valori di colesterolo compresi tra 250 e 300 mg per decilitro di sangue. L’età tipica di insorgenza dell’ipercolesterolemia poligenica è quella adulta, in genere dopo i 30 anni.

L’ipercolesterolemia familiare è uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare. La presenza di elevati valori di colesterolo LDL contribuisce all’instaurarsi di un processo di alterazione delle pareti dei vasi sanguigni noto come aterosclerosi, a sua volta strettamente correlato all’insorgenza di gravi malattie cardio e cerebro-vascolari, come l’infarto del miocardio o l’ictus cerebrale.

I gruppi di cibi che abbassano il colesterolo: cibi ricchi di fibra alimentare e di steroli e stenoli vegetali

I gruppi di cibi che abbassano il colesterolo: cibi ricchi di fibra alimentare e di steroli e stenoli vegetali

Continuiamo a parlare di alimentazione! I cibi che abbassano il colesterolo possono essere classificati in 5 categorie. Essi sono:

  • Cibi ricchi di acidi grassi polinsaturi (PUFA) essenziali (AGE) omega 3
  • Cibi ricchi di PUFA-AGE omega 6
  • Cibi ricchi di PUFA omega 9
  • Cibi ricchi di fibra alimentare
  • Cibi ricchi di steroli e stenoli vegetali

Abbiamo già parlato di omega 3, omega 6 e omega 9 nel seguente articolo del blog di Cholenor:

Un po’ di tabellina del 3 per il controllo del colesterolo: Omega 3, Omega 6 e Omega 9

Concentriamoci ora sulle ultime due categorie di cibi.

 

Cibi ricchi di fibra alimentare

La fibra consente di ridurre l’assorbimento del colesterolo alimentare e anche il riassorbimento degli acidi biliari riversati dalla cistifellea (a loro volta ricchi di colesterolo endogeno); in definitiva, aumentando semplicemente la quota di fibra alimentare è possibile ridurre la colesterolemia totale. Non di meno, la fermentazione delle fibre intestinali determina la liberazione e l’assorbimento di acido propionico, che agisce sulla produzione endogena epatica di colesterolo diminuendola.

I cibi con fibra alimentare sono quelli vegetali, quindi: verdura, frutta, cereali (soprattutto integrali), legumi e funghi; la componente fibrosa che interviene maggiormente sulla colesterolemia è quella “solubile” e la quota giornaliera di fibra alimentare introdotta con la dieta dovrebbe ammontare a circa 30 g (solubile + insolubile).

Un alimento particolarmente indicato nel controllo del colesterolo è la crusca di avena; se consumata tutti i giorni, essendo ricca sia di fibra solubile (15,4 g per 100 g di prodotto), sia di acidi grassi polinsaturi (2,8 g per 100 g di prodotto), interviene efficacemente nella riduzione della colesterolemia LDL. La porzione quotidiana (eventualmente sostituibile con avena integrale) è di circa 40 g, meglio se consumata a colazione ed accompagnata ad una tazza di latte di soia.

 

Cibi ricchi di steroli e stanoli vegetali

I cibi ricchi di steroli e stanoli vegetali sono alimenti fortificati, quindi dietetici. Gli steroli e gli stanoli (come il fosfolipide lecitina) legano il colesterolo (meglio se in compresenza a fibra alimentare) e ne ostacolano l’assorbimento intestinale; 2 milligrammi (mg) al giorno di steroli e/o stanoli (contenuti in circa 2 yogurt addizionati dietetici o due bicchieri di succo d’arancia della stessa categoria) possono ridurre il colesterolo LDL fino al 10% del totale mantenendo integra la frazione di HDL.

Un po’ di tabellina del 3 per il controllo del colesterolo: Omega 3, Omega 6 e Omega 9

Un po’ di tabellina del 3 per il controllo del colesterolo: Omega 3, Omega 6 e Omega 9

Tra i vari lipidi di interesse nutrizionale, tre meritano particolare attenzione.

Si tratta di tre acidi grassi polinsaturi, rispettivamente chiamati acido linoleico o LA (18:2) e acido alfa linolenico o ALA (18:3).

Omega 3 e Omega 6 sono definiti essenziali (o AGE), poiché – considerata l’impossibilità dell’organismo di sintetizzarli autonomamente – devono essere necessariamente introdotti con la dieta.

Una volta assunti attraverso gli alimenti, questi due nutrienti sono convertiti per via enzimatica in altri acidi grassi polinsaturi (PUFA), detti semi-essenziali e aventi funzioni metaboliche specifiche.

L’acido oleico rappresenta il più noto ed apprezzato acido grasso della serie omega 9, seguito per popolarità, ma non certo per pregio nutrizionale, dall’acido erucico (22:1, n−9).

A differenza degli acidi grassi omega 3 ed omega 6, quelli appartenenti alla serie omega 9 non sono considerati essenziali; l’organismo umano può infatti sintetizzarli a partire da altri acidi grassi insaturi.

La strategia migliore a livello di dietoterapia per ridurre il colesterolo (pur trattandosi di un lipide) non è un regime alimentare ipolipidico, bensì la predilezione dei grassi insaturi (fino al 18-23% del totale) e la riduzione simultanea dei grassi saturi (massimo 7% del totale).

 

Cibi ricchi di omega 3

I cibi ricchi di omega 3 migliorano il metabolismo di tutti i lipidi trasportati nel sangue, dal colesterolo (anche se gli specifici effetti sono stati confermati e smentiti varie volte nei molti studi a riguardo) ai trigliceridi; inoltre, contribuiscono a ridurre il rischio cardiovascolare anche grazie alla loro funzione anti-trombotica, anti-infiammatoria ed ipotensiva. La famiglia degli omega 3 comprende:

  •     Acido alfa linolenico (ALA) o 18:3-omega 3, contenuto prevalentemente negli alimenti di origine vegetale: oli di soia, di lino, di noci, di kiwi
  •     Acido eicosapentaenoico (EPA) 20:5-omega 3, contenuto prevalentemente negli alimenti di origine animale: oli e carni dei pesci azzurri e di quelli appartenenti ai mari freddi
  •     Acido docosaesanoico (DHA) 22:6-omega 3: anche in questo caso, oli e carni dei pesci azzurri e di quelli appartenenti ai mari freddi.

 

Cibi ricchi di omega 6

Anche i cibi ricchi di omega 6 migliorano il metabolismo del colesterolo endogeno; gli acidi grassi omega 6 hanno la capacità di ridurre il colesterolo totale ma senza discriminazione tra LDL e HDL. La famiglia degli omega 6 comprende:

  •     Acido gamma-linolenico (GLA) o 18:3- omega 6
  •     Acido diomo-gamma-linoleico (DGLA) o 20:3- omega 6
  •     Acido arachidonico (AA) o 20:4- omega 6.

Tutti gli acidi grassi polinsaturi essenziali gli omega 6 sono contenuti prevalentemente nei semi e nella frutta secca (noci, mandorle, nocciole, semi di girasole, arachidi, pistacchi, semi di zucca), negli oli di semi, negli oli di frutta secca e nei legumi. La quantità di frutta secca auspicabile nella dieta sarebbe di alcune decine di grammi (max 40), tuttavia, trattandosi di alimenti ad alta densità calorica e lipidica, è comunque opportuno bilanciare il regime alimentare eliminando altri alimenti ricchi di grassi (magari saturi) come i formaggi più stagionati, gli insaccati ecc, e curando maggiormente il dosaggio dell’olio da condimento.

 

Cibi ricchi di omega 9

I cibi ricchi di omega 9 intervengono selettivamente sulla colesterolemia riducendo solo le LDL e i trigliceridi (VLDL), mantenendo intatta o addirittura aumentando la porzione di HDL circolanti; gli acidi grassi omega 9 (PUFA non essenziali) sono contenuti prevalentemente nelle olive e nell’olio vergine di oliva. Dal punto di vista pratico, si raccomanda di non superare i 2-3 cucchiai al giorno di olio vergine d’oliva per scongiurare il rischio di un eccesso calorico e della percentuale di lipidi nella dieta.

Dormire poco altera il metabolismo del colesterolo

Dormire poco altera il metabolismo del colesterolo

Una moltitudine di studi dimostrano che dormire poco conduce all’aumento di peso ed è un fattore di rischio per il diabete, per un impatto negativo della deprivazione di sonno sul metabolismo dei carboidrati e le alterazioni degli ormoni deputati al controllo dell’appetito. Dormire meno significa anche alterazioni del sistema immunitario e attivazione dell’infiammazione.

Ma non è tutto. Adesso un gruppo di ricercatori finlandese, in uno studio pubblicato su Scientific Reports, dimostra che le ore di sonno perse alterano i sistemi di trasporto del colesterolo, sia a livello dell’espressione genica, che dei livelli di lipoproteine circolanti. Lo sleep team dell’università di Helsinki ha dimostrato come l’associazione di uno stile di vita sano con un adeguato numero di ore di sonno, riduca il rischio di eventi cardiovascolari in una percentuale variabile tra il 65% e l’83%.

Questa scoperta, unitamente alla dimostrazione di un’attivazione dei meccanismi dell’infiammazione causata dalla deprivazione di sonno, contribuiscono a spiegare l’aumentato rischio di eventi cardiovascolari nei ‘nottambuli’.

Vilma Aho della Universityof Helsinki e colleghi hanno infatti analizzato una ventina di persone in laboratorio sottoponendoli o meno a restrizioni del sonno, ma hanno anche incluso nelle loro analisi i dati ottenuti in studi epidemiologici real life provenienti da due grandi coorti di circa 2800 persone. In entrambi i casi i ricercatori hanno analizzato sia il profilo di attivazione dei geni che i metaboliti presenti nel sangue.

Lo studio finlandese ha dimostrato che i geni che partecipano alla regolazione del trasporto del colesterolo sono meno attivi nei soggetti sottoposti a deprivazione di sonno, rispetto a chi dorme un numero sufficiente di ore.

I dati di popolazione hanno infatti consentito di scoprire che le persone che dormono poco hanno livelli più bassi di colesterolo HDL (colesterolo ‘buono’), rispetto a chi dorme a sufficienza. Lo studio dimostra che già dopo appena una settimana di deprivazione di sonno, cominciano ad evidenziarsi alterazioni nel metabolismo e nelle risposte immunitarie, sottolineando così come, per mantenersi in salute, non sia necessario solo mangiar sano e mantenersi in esercizio, ma anche dormire bene e abbastanza. Quanto? Secondo le  linee guida della National Sleep Foundation dipende dall’età: se per un bambino di 5 anni possono servire anche 13 ore per un adulto meglio non scendere sotto le 7 a notte.

I ricercatori finlandesi ritengono che bisognerebbe evidenziare a livello di educazione sanitaria l’importanza che una buona qualità e quantità di sonno gioca per la salute e viceversa. La correzione degli stili di vista dovrebbe cioè riguardare non solo l’attività fisica e la dieta ma anche focalizzarsi sul sonno.

I ricercatori dell’Università di Seul hanno constatato che, a confronto con gli individui che dormivano 6-7 ore al giorno, gli uomini che dormivano meno di sei ore più facilmente presentavano la sindrome metabolica e una più alta circonferenza addominale. Quanto alle donne con la stessa riduzione del sonno, più spesso presentavano soltanto un girovita più ampio, considerato un parametro utile a valutare il rischio cardiovascolare (la misura ideale del punto vita per la donna è al massimo di 80 e di un uomo 102 centimetri). Ma anche il sonno prolungato quotidiano sembra sortire effetti: il dormire più di dieci ore al giorno risultava associato con la sindrome metabolica, una più alta circonferenza vita e più alti livelli di trigliceridi negli uomini. Nelle donne gli stessi effetti: più zucchero nel sangue e meno colesterolo buono.

Proteggere cuore e arterie sarebbe quindi un buon motivo in più per cercare di assicurarsi ogni giorno il quantitativo di ore di riposo raccomandato dagli esperti.

Monacolina e lovastatina: differenze di struttura chimica, profilo farmacocinetico e biodisponibilità

Monacolina e lovastatina: differenze di struttura chimica, profilo farmacocinetico e biodisponibilità

I farmaci di sintesi come le statine e gli integratori alimentari a base di riso rosso fermentato hanno entrambi un’azione ipocolesterolemizzante.

La lovastatina è un derivato sintetico di un prodotto di fermentazione di Aspergillus terreus, appartenente alla famiglia delle statine e utilizzato per diminuire i livelli di colesterolo ma anche di trigliceridi nel sangue e nella prevenzione delle malattia cardiovascolari.

Le monacoline, tra le quali la più abbondante e la più conosciuta, è la monacolina K si formano per fermentazione del riso rosso da parte del lievito Monascus purpureus.

L’effetto ipolipemizzante del riso rosso fermentato è stato confermato da diversi studi clinici randomizzati e in doppio cieco. La riduzione dei livelli di colesterolo LDL osservata con la monacolina K è comparabile a quella ottenuta con le statine ma a dosi nettamente inferiori.

Gli studi non hanno chiarito con esattezza le basi scientifico di questo effetto, ma concorrono probabilmente un insieme sinergico di fattori.

Innanzitutto, oltre alla monacolina K, nel riso rosso fermentato sono presenti anche altri tipi di monacoline:

  • monacolina J (diol-lattone lovastatina)
  • monacolina L (precursore di monacolina J)
  • diidromonacolina K (diidrolovastatina)
  • compactina.

È possibile, quindi, che alcune monacoline “non-K” e alcuni componenti non statinici contenuti negli integratori come Cholenor a base di riso rosso fermentato agiscano potenziando l’effetto della monacolina K. A rinforzare questa ipotesi c’è il fatto che il riso rosso fermentato non riduce solo la colesterolemia, ma anche i livelli plasmatici di proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP), marcatore validato di infiammazione vascolare e fattore di rischio per malattie cardiovascolari.

Una ulteriore differenza fondamentale tra monacolina K e lovastatina riguarda i profili farmacocinetico e la biodisponibilità. A parità di dosaggio somministrato, la monacolina K ha una biodisponibilità 4 volte superiore a lovastatina farmaceutica. Anche in questo caso le differenza possono in parte essere dovute al fatto che la lovastatina è somministrata come singolo principio attivo e come tale ha una biodisponibilità per via orale di circa il 30%, mentre la monacolina K è solo uno dei componenti del riso rosso fermentato e gli altri componenti possono modificarne la biodisponibilità. In uno studio (Chen et al. 2013) l’assunzione di 5-6 mg di monacolina K è infatti risultata bioequivalente a 20-40 mg di lovastatina.

Benchè Efsa abbia approvato l’indicazione salutistica per monacolina K somministrata al dosaggio di 10 mg/die, va tuttavia precisato che anche a dosaggio decisamente più bassi, pari a 3 mg/die monacolina k ha dimostrato di ridurre la colesterolemia totale del 11,2% e il colesterolo LDL del 14,8%.

L’EFSA (European Food Safety Authority) ha avallato un chiaro “claim” salutistico circa l’effetto della monacolina k, stabilendo dei dati di tollerabilità: la quantità limitata di monacolina k è di 10 mg per dose giornaliera, la dose più attiva commercializzabile.

Un altro aspetto importante che enfatizza le differenze di farmacocinetica e quindi di efficacia fra lovastatina e monacolina K riguarda la struttura chimica e il rapporto fra lattone e forma acida. È la forma acida sia di lovastatina sia di monacolina K quella più attiva nell’inibire l’HMG-CoA reduttasi ed è anche la forma meglio assorbita.

La lovastatina è un profarmaco somministrato in forma lattonica, che viene attivato nella forma attiva idrossiacida per azione di un’esterasi.

La monacolina K è presente in entrambe le forme chimiche, sia lattonica sia idrossiacida. Nel riso rosso la monacolina K è presente in entrambe le forme chimiche: lattonica e idrossiacida, in un rapporto che dipende dal pH. A pH acido prevale la forma lattonica della monacolina K, mentre a pH neutro o alcalino prevale la forma idrossiacida della monacolina K. L’apertura dell’anello lattonico può poi avvenire in condizioni alcaline o per via enzimatica nell’intestino o a livello epatico via citocromo 3A. La forma idrossiacida può variare in concentrazione fra il 5% e il 100% della monacolina K, influenzando quindi enormemente biodisponibilità ed efficacia dei singoli estratti.