Fattori di rischio dell’aterosclerosi

Fattori di rischio dell’aterosclerosi

Quali sono i fattori di rischio dell’aterosclerosi? Approfondiamoli!

Alcuni fattori tendono a raggrupparsi nella sindrome metabolica, che comprende obesità addominale, dislipidemia aterogenica, ipertensione, insulino-resistenza, stato protrombotico e stato proinfiammatorio nei pazienti sedentari. L’insulino-resistenza non è sinonimo di sindrome metabolica, ma può esserne la chiave eziologica.

 

Dislipidemie: livelli elevati di colesterolo totale o di lipoproteine a bassa densità LDL o livelli ridotti di lipoproteine ad alta densità HDL

Nelle dislipidemie aumentano i processi di captazione subendoteliale e di ossidazione delle LDL; i lipidi ossidati stimolano la sintesi di molecole di adesione e di citochine infiammatorie e possono avere potere antigenico, stimolando la risposta immunitaria T-mediata e l’infiammazione nella parete arteriosa. Anche se in precedenza si riteneva che le lipoproteine ad alta densità (HDL) proteggessero dall’aterosclerosi attraverso il trasporto inverso di colesterolo e trasportando enzimi antiossidanti, che possono degradare e neutralizzare i lipidi ossidati, recenti evidenze da studi randomizzati e genetici suggeriscono un ruolo molto meno importante per le lipoproteine ad alta densità nell’aterogenesi. Il ruolo dell’ipertrigliceridemia nell’aterogenesi è complesso, sebbene possa avere un piccolo effetto indipendente.

 

Ipertensione

L’ipertensione può causare infiammazione vascolare tramite meccanismi mediati dall’angiotensina II. L’angiotensina II stimola le cellule endoteliali, le cellule muscolari lisce vascolari e i macrofagi a sintetizzare mediatori proaterogeni, come le citochine proinfiammatorie, gli anioni superossido, fattori protrombotici, fattori di crescita e recettori LDL lectina-simili ossidati.

 

Diabete

Il diabete porta alla formazione dei prodotti finali della glicazione avanzata, che aumentano la sintesi di citochine proinfiammatorie da parte delle cellule endoteliali. Lo stress ossidativo e i radicali reattivi dell’ossigeno, prodotti nel diabete, danneggiano direttamente l’endotelio e promuovono l’aterogenesi. Un livello elevato delle piccole e dense LDL, caratteristica del diabete, ha un alto potere aterogeno

 

Fumo di sigaretta

La nicotina e altre sostanze chimiche presenti nel fumo di tabacco hanno un effetto tossico sull’endotelio vascolare. Il fumo, compreso quello passivo, aumentano sia la reattività piastrinica sia i livelli plasmatici di fibrinogeno e dell’ematocrito (aumentata viscosità sanguigna). Il fumo aumenta le LDL e riduce le HDL, stimola la vasocostrizione, particolarmente pericolosa nelle arterie già stenotiche per l’aterosclerosi. Le HDL aumentano di circa 6-8 mg/dL entro 1 mese dall’abolizione del fumo.

 

Lipoproteina(a)

La lipoproteina(a) o Lp(a) è pro-aterogenica ed è un fattore di rischio indipendente per le malattie cardiovascolari, inclusi l’infarto miocardico, l’ictus e la stenosi valvolare aortica. Ha una struttura simile all’LDL, ma ha anche come componente un’apolipoproteina (a) idrofila legata in modo covalente a un’apolipoproteina idrofobica B100. I livelli di lipoproteina sono geneticamente determinati e rimangono abbastanza stabili per tutta la vita. Livelli di lipoproteina(a) superiori a 50 mg/dL sono considerati patologici.

 

Apolipoproteina B

L’apolipoproteina B (apoB) è una particella con due isoforme: apoB-100, che è sintetizzata nel fegato, e apoB-46, che viene sintetizzata nell’intestino. L’ApoB-100 è in grado di legare il recettore LDL ed è responsabile del trasporto del colesterolo. È anche responsabile del trasporto di fosfolipidi ossidati e ha proprietà proinfiammatorie. La presenza della particella apoB all’interno della parete arteriosa è ritenuta essere l’evento iniziale per lo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche.

 

Proteina C-reattiva

Livelli elevati di proteina C-reattiva non predicono in modo affidabile l’estensione dell’aterosclerosi, ma possono predire un’aumentata probabilità di eventi ischemici. In assenza di altre malattie infiammatorie, elevati livelli possono indicare un aumentato rischio di rottura, ulcerazione o trombosi della placca aterosclerotica o un’aumentata attività linfocitica e macrofagica.

 

Infezioni batteriche o virali

Le infezioni da C. pneumoniae, Helicobacter pylori o altre infezioni batteriche o virali possono causare una disfunzione endoteliale attraverso l’infezione diretta, l’esposizione all’endotossina o la stimolazione dell’infiammazione sistemica o subendoteliale.

 

Malattia renale cronica

La malattia renale cronica promuove lo sviluppo di aterosclerosi attraverso svariati percorsi, tra cui l’ipertensione e il peggioramento dell’insulino-resistenza; diminuiti livelli di apolipoproteina A-I; ed aumentati i livelli di lipoproteina, omocisteina, fibrinogeno e proteina C-reattiva.

 

Trapianto cardiaco

Un trapianto cardiaco è spesso seguito da un’accelerata aterosclerosi coronarica, che è probabilmente correlata al danno endoteliale immuno-mediato. Un’accelerata aterosclerosi coronarica si osserva anche dopo la radioterapia del torace ed è probabilmente il risultato di danni endoteliali indotti dalle radiazioni.

 

Iperomocisteinemia

L’iperomocisteinemia per esempio a causa di carenza di folati o di un difetto genetico metabolico hanno un aumentato rischio di aterosclerosi. Tuttavia, non si ritiene che l’iperomocisteinemia stessa causi l’aterosclerosi e la causa dell’associazione tra elevati livelli di omocisteina e aterosclerosi non è chiara.

Stabilità e rottura delle placche aterosclerotiche

Stabilità e rottura delle placche aterosclerotiche

Abbiamo parlato nel precedente articolo dell’anatomia dei vasi sanguigni e di come si formano le placche aterosclerotiche. Oggi approfondiamo cosa può accadere ad una placca.

L’aterosclerosi rimane asintomatica, spesso per decenni: le placche aterosclerotiche possono occludere il lume vasale anche del 90% senza manifestare segni clinicamente evidenti.

Le placche aterosclerotiche possono essere stabili o instabili.

Le placche stabili possono regredire, restare stabili o accrescersi lentamente nell’arco di molti decenni fino a causare stenosi o occlusione.

Le placche instabili possono andare incontro a erosione spontanea, fissurazione o rottura. La maggior parte degli eventi clinici deriva da placche instabili, che non sembrano di entità grave all’angiografia; pertanto, la stabilizzazione della placca può essere un modo per ridurre la morbilità e la mortalità.

 

La stabilità delle placche, la forza del cappuccio fibroso e la sua resistenza alla rottura dipendono dipendono da molti fattori:

  • la composizione della placca (rapporto relativo di lipidi, cellule infiammatorie, cellule muscolari lisce, tessuto connettivo)
  • lo stress parietale (indebolimento del cappuccio)
  • la dimensione
  • la localizzazione del core e la morfologia della placca in relazione al flusso sanguigno.
  • l’emorragia intraplacca, che contribuendo alla rapida crescita e alla deposizione lipidica, può svolgere un ruolo importante nel trasformare una placca stabile in una placca instabile. Un’arteria colma di materiale lipidico e tessuto fibrotico perde elasticità e resistenza, risulta più suscettibile alla rottura e riduce il proprio lume interno ostacolando il flusso sanguigno.
  • l’equilibrio relativo tra deposizione e degradazione di collagene: la rottura della placca implica la secrezione di metalloproteinasi, catepsine e collagenasi da parte dei macrofagi attivati nella placca. I macrofagi stimolano la trombosi in quanto contengono un fattore tissutale, che favorisce la sintesi della trombina in vivo. Questi enzimi digeriscono il cappuccio fibroso, soprattutto ai margini, causandone l’assottigliamento fino alla rottura finale. Le cellule T presenti nella placca entrano in gioco mediante la secrezione di citochine. Le citochine inibiscono la sintesi e il deposito del collagene, che normalmente rinforza la placca, da parte delle cellule muscolari lisce.

 

In caso di rapida crescita di un coagulo di sangue (trombo) in seguito alla rottura della capsula fibrosa o della superficie endoteliale o all’emorragia dei microvasi interni alla lesione, i trombi, formatisi sulla superficie o all’interno della lesione, possono causare eventi acuti in due modi:

  • possono ingrandirsi in situ fino ad occludere completamente il vaso bloccando il flusso sanguigno dal punto in cui si sviluppa la placca. I processi riparativi e coagulativi possono portare alla rapida occlusione del vaso (trombosi);
  • possono staccarsi dal sito della lesione, generando embolie più o meno severe. Qualora un frammento dell’ateroma si stacchi può essere spinto come una mina vagante in periferia, con il rischio, se i fenomeni fibrinolitici non intervengono in tempo, di ostruire una ramificazione vasale a valle, impedendo l’afflusso di sangue da quel punto in poi.

Entrambi questi eventi impediscono la corretta ossigenazione dei tessuti, inducendone la necrosi. L’occlusione del vaso può essere favorita anche dal vasospasmo indotto dalla liberazione di endoteline da parte delle cellule dell’endotelio.

Con la rottura della placca, si verifica l’esposizione del contenuto al sangue circolante, con inizio del processo trombotico.

In generale, si può verificare uno tra i seguenti esiti:

    1.     Il trombo risultante può organizzarsi ed essere incorporato nella placca, modificandone la forma e causandone la rapida crescita.
    2.     Il trombo può occludere rapidamente il lume vascolare e scatenare un evento ischemico acuto.
    3.     Il trombo può embolizzare.
    4.     La placca può riempirsi di sangue, rigonfiarsi come un palloncino ed e occludere immediatamente l’arteria.
    5.     Le sostanze contenute nella placca possono embolizzare, occludendo i vasi a valle.

Inoltre, l’indebolimento della parete vasale può portare ad una dilatazione generalizzata dell’arteria, che negli anni può condurre alla formazione di un aneurisma.

 

Le pareti arteriose e la formazione delle placche aterosclerotiche

Le pareti arteriose e la formazione delle placche aterosclerotiche

Oggi parliamo di aterosclerosi, la forma più comune di arteriosclerosi, termine generico che si riferisce a numerose patologie che provocano ispessimento e perdita di elasticità della parete arteriosa.

L’ateroma o placca aterosclerotica è una degenerazione delle pareti arteriose dovuta al deposito di placche formate essenzialmente da grasso e tessuto cicatriziale.

Non dobbiamo pensare all’arteria come un semplice condotto che garantisce il trasporto del sangue ove ve ne sia bisogno. Piuttosto, la dobbiamo immaginare come un organo dinamico e complesso, costituito da diversi attori cellulari e molecolari.

Per capire come si forma un ateroma è innanzitutto necessario rispolverare brevemente l’istologia delle pareti arteriose. Le arterie sono formate da tre tuniche muscolari concentriche:

  •     l’intima, con i sui 150-200 micrometri di diametro è lo strato più interno o profondo del vaso. È costituita principalmente da cellule endoteliali, che delimitano il lume del vaso e rappresentano, quindi, l’elemento di contatto tra sangue e parete arteriosa.
  •     la tonaca media, di 150-350 micrometri di diametro è composta da cellule muscolari lisce, elastina (che conferisce elasticità al vaso) e collagene (componente strutturale).
  •     l’avventizia, che rappresenta lo strato più esterno dell’arteria; di 300-500 micrometri di diametro, contiene tessuto fibroso ed è circondata da tessuto connettivale perivascolare e grasso epicardico.

L’endotelio rappresenta il fulcro metabolico della parete vascolare e ne regola la proliferazione cellulare, i fenomeni infiammatori ed i processi trombotici. Il processo aterosclerotico inizia a partire dalle cellule endoteliali, quindi dallo strato più interno del vaso arterioso. La placca si trova, in genere, tra l’intima e la media. Il tessuto endoteliale gioca un ruolo critico nel regolare l’entrata, l’uscita ed il metabolismo delle lipoproteine e di altri agenti che possono partecipare alla formazione di lesioni aterosclerotiche.

 

La patogenesi dell’aterosclerosi: come si forma una placca

Ora che abbiamo definito l’aterosclerosi e l’ateroma (o placca aterosclerotica) e approfondito l’istologia della parete arteriosa, parliamo in modo più specifico della patogenesi dell’aterosclerosi.

La formazione e la crescita dell’ateroma è un processo che si sviluppa nel corso di anni o addirittura decenni, come conseguenza di tre processi:

  1. L’adesione, l’infiltrazione e il deposito di particelle lipoproteiche LDL nell’intima dell’arteria; tale deposito prende il nome di stria lipidica ed è legato principalmente all’eccesso di lipoproteine LDL (ipercolesterolemia) e/o al difetto di lipoproteine HDL. La stria lipidica è la prima lesione visibile dell’aterosclerosi; essa è un accumulo di cellule schiumose cariche di lipidi nello strato intimale dell’arteria.
  2. L’instaurarsi di uno stato infiammatorio scatenato dall’intrappolamento e dall’ossidazione dei lipidi LDL. Il processo infiammatorio porta a danno endoteliale con conseguente espressione di molecole di adesione sulla membrana cellulare e secrezione di sostanze biologicamente attive e chemiotattiche (citochine, fattori di crescita, radicali liberi), che nell’insieme favoriscono il richiamo e la successiva infiltrazione di leucociti (globuli bianchi) e la trasformazione dei monociti in macrofagi. I macrofagi fagocitano le LDL ossidate accumulando lipidi nel loro citoplasma e trasformandosi in cellule schiumose (foam cells), ricche di colesterolo. Fino a questo punto la stria lipidica rappresenta una lesione puramente infiammatoria e come tale può dissolversi. Si è infatti verificato solo l’accumulo di lipidi, liberi o sotto forma di cellule schiumose. Nelle fasi successive, l’accumulo di tessuto fibrotico può portare alla crescita irreversibile dell’ateroma vero e proprio.
  3. La migrazione e la proliferazione di cellule muscolari lisce. Se la risposta infiammatoria non è in grado di neutralizzare efficacemente o di rimuovere gli agenti dannosi, può continuare indefinitivamente e stimolare la migrazione e la proliferazione delle cellule muscolari lisce, che migrano dalla tunica media all’intima producendo matrice extracellulare che funge da impalcatura strutturale della placca aterosclerotica (ateroma). Se queste risposte continuano ulteriormente, possono provocare un ispessimento della parete arteriosa: la lesione fibrolipidica va a sostituire il semplice accumulo lipidico delle fasi iniziali e diventa irreversibile. Il vaso, da parte sua, risponde con un processo detto di rimodellamento compensatorio, cercando di porre rimedio alla stenosi (restringimento indotto dalla placca), dilatandosi gradualmente in modo da mantenere inalterato il lume dei vasi.

La sintesi di citochine infiammatorie da parte delle cellule endoteliali funge da richiamo per cellule immunocompetenti come linfociti T, monociti e plasmacellule, che migrano dal sangue e si moltiplicano all’interno della lesione. A questo punto si ritiene che con l’ingrandirsi della lesione, a causa della carenza di sostanze nutritive e dell’ipossia, le cellule muscolari lisce e i macrofagi possano andare incontro ad apoptosi (morte cellulare), con deposito di calcio sui residui delle cellule morte e sui lipidi extracellulari. Nascono così le lesioni aterosclerotiche complicate.

Il risultato finale è la formazione di una lesione più o meno grande, costituita da un nucleo centrale lipidico (lipid core) avvolto da un cappuccio fibroso connettivale (fibrous cap), infiltrati di cellule immunocompetenti e noduli di calcio. È importante sottolineare come nelle lesioni possa esservi una grande variabilità nell’istologia del tessuto formatosi: alcune lesioni aterosclerotiche appaiono prevalentemente dense e fibrose, altre possono contenere grandi quantità di lipidi e residui necrotici, mentre la maggior parte presenta combinazioni e variazioni di ciascuna di queste caratteristiche. La distribuzione dei lipidi e del tessuto connettivo all’interno delle lesioni ne determina la stabilità, la facilità alla rottura e alla trombosi, con i conseguenti effetti clinici… ma di questo parleremo nel prossimo articolo del blog!

Disordini genetici del sistema HDL

Disordini genetici del sistema HDL

Oggi parliamo un po’ di genetica! Abbiamo conosciuto meglio e più da vicino le tre funzioni fondamentali delle lipoproteine HDL:

  • Trasporto inverso del colesterolo
  • Protezione endoteliale
  • Attività antiossidante

Cosa accade in caso di mutazioni che alterano delle proteine del sistema HDL?

I disordini genetici del sistema HDL sono rare patologie monogeniche rare causate da mutazioni in geni che codificano per diverse proteine coinvolte nel metabolismo delle HDL.

I disordini genetici di HDL non sono solo caratterizzati da livelli di HDL circolanti molto ridotti o molto elevati, ma anche da alterazioni di vario tipo delle sottoclassi di HDL

Le più comuni mutazioni genetiche note coinvolgono i seguenti geni:

  • i geni ABCA1, APOA1 e LCAT, che causano ipoalfalipoproteinemia
  • il gene della CETP, che causa iperalfalipoproteinemia.

 

Mutazioni del gene ABCA1

Il gene ABCA1 è localizzato sul cromosoma 9 (9q31) e codifica per una proteina di membrana di 2.261 residui aminoacidici appartenente alla famiglia dei trasportatori ABC. Ad oggi, in letteratura sono state riportate più di 170 diverse mutazioni del gene ABCA1 in grado di modificare in maniera differente la funzionalità della proteina ABCA1. Mutazioni a carico di entrambi gli alleli del gene ABCA1 (omozigosi) causano la malattia di Tangier, una rara patologia di tipo recessivo caratterizzata da un’assenza quasi completa di HDL. Uno degli aspetti chiave, dal punto di vista biochimico, della malattia di Tangier è un efflusso di colesterolo difettoso dalla membrana plasmatica delle cellule verso gli accettori extracellulari. La mancata attività di ABCA1 previene la lipidazione dell’apoA-I e, di conseguenza, la formazione di HDL. Nel plasma dei soggetti con la malattia di Tangier sono presenti solo prebeta-HDL mentre le HDL sferiche e mature sono totalmente assenti; gli eterozigoti presentano particelle HDL di piccole dimensioni, povere di colesterolo e relativamente arricchite in apoA-I. I portatori di mutazioni nel gene che codifica per il trasportatore ABCA1 presentano valori di vasodilatazione flussomediata dell’arteria brachiale (FMD) notevolmente ridotti rispetto ai soggetti controllo, indicativi di una compromissione del sistema di regolazione del tono vasale.

Nei soggetti con un solo allele mutato (eterozigoti) la perdita di funzionalità di ABCA1 porta ad un disordine molto più comune e relativamente più lieve, che determina un’ampia varietà di fenotipi clinici e biochimici, in base al tipo di mutazione presente nei portatori.

 

Mutazioni del gene APOA1

Il gene APOA1 è localizzato sul cromosoma 11 (11q23-q24) e codifica per un polipeptide di 243 aminoacidi. Finora sono state identificate più di 60 mutazioni a carico di questo gene; più della metà di esse sono associate a bassi livelli di HDL-C e principalmente localizzate nella porzione centrale dell’APOA1.

L’apoA-IMilano (apoA-IM), caratterizzata dalla sostituzione dell’arginina in posizione 173 con una cisteina, è stata la prima mutante dell’APOA1 ad essere descritta nell’uomo ed è certamente la variante meglio caratterizzata. Tutti i portatori identificati ad oggi sono eterozigoti per la variante e presentano ridotti livelli plasmatici di HDL-C, un deficit parziale di LCAT e livelli variabili di ipertrigliceridemia. Le HDL dei portatori dj apoA-IM sono piccole, dense e arricchite in particelle discoidali contenenti la forma dimerica della variante. I valori di vasodilatazione sono paragonabili a quelli dei soggetti controllo. Studi in vitro hanno mostrato anche una preservata funzionalità endoteliale nonostante la severa ipoalfalipoproteinemia.

 

Mutazioni del gene LCAT

Il gene LCAT è localizzato sul cromosoma 16 (16q22), e codifica per una glicoproteina di 416 residui aminoacidici. Mutazioni a carico del gene che codifica per LCAT causano una parziale o completa perdita di attività enzimatica e ipoalfalipoproteinemia. I portatori di due alleli LCAT mutati (omozigoti) presentano una severa riduzione dei livelli plasmatici di HDL-C associata a molteplici alterazioni nella struttura delle HDL e nella distribuzione delle sottoclassi HDL, con una selettiva deplezione delle particelle di grandi dimensioni contenenti apoA-II e la predominanza di piccole prebeta-HDL. I soggetti con un solo allele mutato (eterozigoti) sono caratterizzati da livelli plasmatici di HDL-C mediamente bassi e da un arricchimento in piccole particelle prebeta-HDL.

 

Mutazioni del gene CETP

Il gene della CETP, localizzato sul cromosoma16 (16q21), codifica per una glicoproteina idrofobica di 476 aminoacidi. Ad oggi, sono state descritte circa 40 mutazioni di questo gene, la maggior parte delle quali identificata in soggetti giapponesi. I portatori di due alleli mutati (omozigoti) presentano livelli plasmatici di HDL-C cinque volte superiori alla norma. La completa assenza di attività enzimatica della CETP impedisce il trasferimento di esteri del colesterolo dalle HDL alle altre lipoproteine determinando così l’accumulo di questi esteri del colesterolo nelle HDL stesse, che divengono, in questo modo, particolarmente grandi. I portatori eterozigoti mostrano un aumento dei livelli plasmatici di HDL-C e di APOA1 e un incremento della dimensione delle HDL.

 

Effetti delle mutazioni sulle attività del sistema HDL

Gli studi fin qui a disposizione suggeriscono che nei difetti genetici caratterizzati da HDL di piccole dimensioni e arricchite in particelle prebeta il sistema HDL mantiene una corretta funzionalità, mentre nel difetto di CETP in cui si accumulano particelle molto grandi il sistema HDL sembra meno funzionale.

L’attività antiossidante delle HDL isolate da soggetti con mutazioni a carico dei geni che codificano per APOA1, ABCA1 e LCAT è fortemente ridotta rispetto all’attività riscontrata nelle HDL dei soggetti controllo.

L’ispessimento medio-intimale (IMT) carotideo, che rappresenta un valido marcatore di aterosclerosi, è stato misurato in numerosi portatori di disordini genetici di HDL. I portatori dell’apoA-IM presentano valori di IMT carotideo analoghi a quelli di soggetti controllo di pari età e genere. Al contrario, i portatori della variante L202P dell’APOA1 presentano IMT carotideo aumentato e associato a elevato rischio cardiovascolare. Ulteriori studi ancora da approfondire sembrano indicare che le mutazioni nei geni LCAT e CETP non hanno effetto sull’IMT carotideo.

Protezione endoteliale ed attività antiossidante delle HDL

Protezione endoteliale ed attività antiossidante delle HDL

Tratto da “HDL and atherosclerosis: insights from inherited HDL disorders” (Laura Calabresi et al.)

Protezione endoteliale

La capacità di promuovere la rimozione di colesterolo dai macrofagi della parete arteriosa e di trasportare tale colesterolo al fegato per l’escrezione, in un processo chiamato trasporto inverso del colesterolo (RCT), rappresenta la funzione antiaterogena più rilevante e nota delle HDL.

Approfondiamo ora la seconda funzione chiave delle HDL: la protezione endoteliale.

Numerosi studi condotti in vitro ed in vivo hanno dimostrato che le HDL svolgono anche un ruolo chiave nel preservare l’omeostasi endoteliale. L’endotelio non è affatto una barriera inerte atta a separare la parete vasale dal torrente circolatorio, ma oltre ad esercitare un ruolo strutturale è coinvolto attivamente nella regolazione della funzionalità vasale, producendo e rilasciando una serie di molecole vasoattive, quali ossido nitrico (NO) e prostaciclina (PGI2), che agiscono sulle cellule muscolari lisce sottostanti e ne regolano il tono vasale.

La perdita della funzionalità endoteliale è un evento chiave del processo aterosclerotico e si caratterizza per la ridotta disponibilità di molecole ad azione vasodilatante e per l’aumento di permeabilità, dovuto alla perdita di continuità del monostrato e all’espressione sulla superficie endoteliale di molecole favorenti l’adesione delle cellule circolanti.

Le HDL stimolano la produzione ed il rilascio di NO grazie all’induzione dell’espressione e attivazione dell’enzima ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS) e PGI2 a partire da arachidonato per azione delle ciclossigenasi e inibiscono la produzione di molecole pro-infiammatorie e di adesione cellulare (CAMs) attraverso meccanismi non ancora completamente chiari.

Le due principali sottoclassi HDL2 e HDL3 si sono dimostrate ugualmente efficaci nel promuovere il rilascio di NO e PGI2 in vitro, mentre le HDL3 sono nettamente più efficaci nell’inibire l’espressione delle molecole di adesione cellulare.

Il risultato combinato di produzione e rilascio di molecole vasoattive e dell’inibizione della produzione di molecole pro-infiammatorie e di adesione cellulare è il rilassamento della parete vasale ed il mantenimento dell’integrità della barriera endoteliale.

 

Attività antiossidante

Veniamo ora alla terza funzione chiave delle HDL: l’attività antiossidante.

Lo stress ossidativo promuove la formazione di LDL ossidate che si accumulano nei macrofagi della parete arteriosa e ne promuovono la trasformazione in cellule schiumose. Le HDL, grazie alle loro proprietà antiossidanti contribuiscono a proteggere la parete vasale dal danno ossidativo attraverso diversi meccanismi, il primo dei quali consiste nella rimozione di lipidi ossidati dalle LDL.

Dopo essere stati incorporati nelle HDL, i lipidi ossidati possono venire degradati dagli enzimi antiossidanti trasportati dalle HDL stesse, quali PON-1, PAF-AH e LCAT, oppure possono essere ridotti da apoA-I e apoA-II con la concomitante ossidazione dei loro residui metioninici.

Le diverse sottoclassi HDL esercitano differenti proprietà antiossidanti: le HDL3 sono più efficaci delle HDL2 nell’accumulare e nell’inattivare i lipidi reattivi grazie al maggior contenuto e alla diversa conformazione di apoA-I, insieme all’impoverimento in sfingomielina.

Le HDL3 piccole e dense, sono, infatti, più resistenti alle modifiche ossidative rispetto alle più grandi e meno dense HDL2.

Correlazione tra sistema HDL e rischio cardiovascolare

Correlazione tra sistema HDL e rischio cardiovascolare

Tratto da “HDL and atherosclerosis: insights from inherited HDL disorders” (Laura Calabresi et al.)

Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato l’esistenza di una forte correlazione inversa tra livelli plasmatici di HDL-colesterolo (HDL-C) e incidenza di malattie cardiovascolari.

Il ruolo delle HDL nella protezione cardiovascolare è stato, però, di recente messo in discussione da studi di randomizzazione mendeliana, così come da trial clinici condotti con farmaci che pur in grado di aumentare i livelli plasmatici di HDL-C non hanno mostrato beneficio sugli eventi cardiovascolari. Questa discrepanza potrebbe essere spiegata dal fatto che il parametro HDL-C misurato nel plasma non rappresenti la reale efficienza del sistema HDL, che è certamente complesso e coinvolge particelle diverse con funzionalità variabile.

Le HDL possono essere separate in sottoclassi in funzione di densità, dimensioni, composizione e mobilità elettroforetica.

In base alla densità possono essere distinte in HDL2 (1,063-1,125 g/ml), più grandi e leggere, e HDL3 (1,125-1,21 g/ml), più piccole e dense. Le HDL2 e le HDL3 possono essere ulteriormente separate in base alla dimensione in cinque sottoclassi: HDL3c, diametro 7,2-7,8 nm; HDL3b, 7,8-8,2 nm; HDL3a, 8,2-8,8 nm; HDL2a, 8,8.-9,7 nm; HDL2b, 9,7-12,0 nm in HDL2a e HDL2b.

Il sistema HDL è molto dinamico e le particelle HDL sono sottoposte a un continuo rimodellamento nel plasma, grazie all’azione di numerosi enzimi e proteine di trasferimento dei lipidi. La relazione tra le diverse sottoclassi HDL e il rischio cardiovascolare resta da definire, anche se alcuni studi suggeriscono che le HDL2, e quindi le particelle di dimensioni maggiori, siano associate a minor rischio cardiovascolare.

Le principali funzioni delle HDL sono:

  • Trasporto inverso del colesterolo
  • Protezione endoteliale
  • Attività antiossidante

Abbiamo già parlato del trasporto inverso del colesterolo nell’articolo

Nei prossimi articoli del blog di Cholenor approfondiremo le altre due funzioni. A presto!

Lo yoga aiuta ad abbassare il colesterolo Alcune evidenze dicono di si

Lo yoga aiuta ad abbassare il colesterolo? Alcune evidenze dicono di si

Lo yoga è un’antica disciplina orientale che fa bene a corpo e mente: aiuta a rilassarsi, migliora la postura e la respirazione, dà un senso di benessere generale e consente di rilasciare le tensioni che, ripercuotendosi sull’apparato cardiovascolare, causano ipertensione. Insieme a una dieta sana a base vegetale e ai farmaci prescritti, la terapia yoga è un ottimo complemento alla tua routine di benessere.

Esiste un numero limitato di studi che hanno esaminato la connessione tra yoga e livelli di colesterolo, ma gli studi che esistono vedono una correlazione.

Uno studio del 2013 pubblicato sull’Indian Heart Journal ha esaminato un gruppo di 100 persone in India che convivono con il diabete di tipo 2. Gli individui che hanno svolto un’ora di yoga al giorno per un periodo di 3 mesi hanno mostrato una diminuzione dei livelli del colesterolo totale, dei trigliceridi e delle LDL (lipoproteine ​​a bassa densità). Hanno anche mostrato un aumento delle HDL (lipoproteine ​​ad alta densità). Tuttavia, i ricercatori hanno notato che lo yoga dovrebbe essere usato come parte di un approccio integrato al trattamento del diabete.

Uno studio  del 2019 ha anche esaminato l’effetto dello yoga sui profili lipidici in 24 donne. Nelle partecipanti che hanno praticato yoga tre volte a settimana per 26 settimane, è stata vista una riduzione dei livelli di colesterolo totale e LDL, mentro i livelli di HDL non ne sono stati influenzati in modo significativo.

Una revisione dello studio del 2014 ha rilevato che lo yoga è efficace per migliorare il colesterolo LDL e HDL e la pressione sanguigna.

Alcune asana (pose) yoga efficaci possono includere:

  •     Sarvangasana (cavalletto)
  •     Shalabhasana (posa della locusta)
  •     Chakrasan (posa ruota)
  •     Paschimottanasana (curva di prua seduta)

 

Esercizi pranayama efficaci (controllo del respiro) possono includere:

  •     Kapalbhati
  •     Anulom vilom (tecnica di respirazione narice alternata)

 

Nel complesso, sono necessarie ulteriori ricerche su scala più ampia per trarre una conclusione significativa sul fatto che lo yoga sia efficace per abbassare il colesterolo, ma di certo lo yoga può aumentare il metabolismo, aiutando a ridurre e controllare il peso corporeo, massaggia gli organi addominali come il pancreas, i reni, il fegato, lo stomaco, l’intestino tenue e la cistifellea. Aiuta, inoltre, a eliminare le tossine e può migliorare il funzionamento del tratto digerente, stimola la tiroide e le ghiandole paratiroidi aiutando a normalizzare le loro funzioni.

Si tratta, quindi, di un ottimo complemento ad altre sane abitudini per la salute in termini di sollievo dallo stress, mobilità e riduzione dell’infiammazione.

Rimedi per controllare stress e livelli di colesterolo

Rimedi per controllare stress e livelli di colesterolo

Nel precedente articolo del blog di Cholenor abbiamo visto come lo stress sia un nemico sia della salute psicologica sia di quella fisica e che con vari effetti diretti e indiretti alteri  i livelli di grassi e di glucosio nel sangue.

Controllare lo stress e trovare dei canali di smaltimento è, pertanto, fondamentale.

Camminata veloce

Una buona attività fisica consente il consumo del colesterolo in eccesso, che in questo modo viene usato come carburante per i nostri muscoli! L’esercizio fisico, in particolare la camminata sostenuta, è un rimedio molto utile perché aiuta a veicolare gli eccessi di zuccheri immagazzinati, abbassa i livelli di colesterolo e trigliceridi e controlla la pressione.

 

Alimentazione

Un programma di gestione dello stress non può prescindere da una corretta educazione alimentare. Il nostro modello alimentare al pari dei nostri processi emotivi e cognitivi è in grado di influenzare i quattro principali sistemi di regolazione dell’organismo: nervoso, endocrino, immunitario e connettivo. Una dieta antistress si prefigge di agire a vari livelli anche perché tutti connessi tra loro. Il meccanismo più diretto consiste nell’interferire con la secrezione ormonale dei mediatori dello stress e tra questi, in particolare ma non unico,  con i livelli di cortisolo. Per combattere lo stress è consigliata una dieta il più possibile sana e varia con una prevalenza di alimenti vegetali, in particolare carboidrati integrali e biologici, verdura (specie quella verde), frutta fresca e secca e legumi.

 

Yoga e meditazione

Esercizi di respirazione, meditazione e pratiche come lo yoga sono tutti strumenti utili ed efficaci contro questo nemico del benessere.

 

….altri rimedi naturali

Possiamo associare al movimento e a una dieta bilanciata alcuni rimedi naturali che aiutano a tenere sotto controllo lo stress e a diminuire i livelli di colesterolo pericoloso.

Integratori a base di riso rosso fermentato

Integratori a base di riso rosso fermentato come Cholenor sono utili per tenere sotto controllo i picchi d’innalzamento del colesterolo…. Ma di questo abbiamo già parlato diffusamente. Per ripassare le proprietà e il meccanismo d’azione del riso rosso fermentato ti consigliamo questo articolo:

 

Magnesio

Spesso magnesio e stress si giocano una partita a sottrazione: la carenza di magnesio può determinare condizioni di stress, affaticamento, variabilità dell’umore e, in aggiunta a questo, picchi di stress determinano una perdita di magnesio per la sollecitazione di ormoni che ne facilitano il consumo o la dispersione.

Questa condizione influisce anche sulla qualità e durata del sonno, ingenerando così un meccanismo perverso e avverso. E’ bene quindi integrare le quote giornaliere di magnesio per un certo periodo, in modo da aiutare il benessere psicofisico, con il rilassamento di muscoli e tendini, favorire il sonno ristoratore, sostenere il sistema nervoso centrale.

 

5-HTP

L-Triptofano è un aminoacido utile per trattare condizioni di stress e insonnia. In natura una fonte sicura di triptofano è data dalla griffonia, arbusto sempreverde noto anche come fagiolo africano. Nei semi di questa pianta tropicale è contenuto il principio attivo, il 5-idrossitriptofano (5-HTP), precursore della serotonina. L’incremento dei livelli di serotonina, l’ormone del buonumore, aiuta a contrastare stanchezza, irritabilità, stress, problemi di insonnia e mal di testa.

 

Vitamine del gruppo B

Le vitamine del gruppo B sono un complesso molto utile in caso di stress, perché sono coinvolte nei processi metabolici che trasformano gli alimenti in energia e nella salute del sistema nervoso centrale. In particolare, la B2, la B3 e la B6 sono fondamentali per la sintesi della serotonina. In caso di stress, affaticamento, nervosismo il complesso B è utile anche in associazione al magnesio per riequilibrare l’organismo.

Innalzamento dei livelli di colesterolo da stress

Innalzamento dei livelli di colesterolo da stress

Le cause della ipercolesterolemia sono di certo da cercare nell’alimentazione e nelle abitudini di vita ma è importante indagare se possano essere presenti altri fattori che inducano il nostro organismo a produrre eccessi di colesterolo. Come reazione di difesa situazioni di ansia e stress inducono la produzione nell’ipotalamo di specifici ormoni di allerta, il cortisolo e l’adrenalina, che mandano i muscoli in tensione, sostengono il flusso di sangue al cervello, aumentano il battito cardiaco. Il cortisolo, in particolare, è responsabile dell’aumento delle concentrazioni di zuccheri che se non smaltiti si trasformano in acidi grassi e colesterolo.

Quando ansia e stress diventano cronici, l’organismo si sente sempre in condizioni di allarme, anche quando non ce n’è bisogno. Si parla di cosiddetto stress negativo o “distress”. Pertanto, ansia e stress possono diventare altamente dannosi per l’equilibrio psico-fisico. Tipiche manifestazioni dello stress sono eruzioni cutanee come acne o eczemi, disturbi del ciclo mestruale, diabete, obesità. Effetti dannosi si registrano anche a carico dell’apparato cardiovascolare con predisposizione a pressione alta e malattie cardiache.

Alcuni studi hanno messo in evidenza come lo stress alteri  i livelli dei grassi nel sangue. Uno studio pubblicato nel 2002 sul British Medical Journal ha messo in evidenza come un alto livello di stress contribuisca all’aumento dei livelli di colesterolo totale nel sangue. In una ricerca successiva pubblicata nel 2005 sulla rivista Health Psychology, è emerso che lo stress sarebbe associato a un aumento delle lipoproteine LDL a bassa densità, il colesterolo “cattivo”, che distribuiscono il colesterolo ai tessuti . Altri studi, invece, associano lo stress alla riduzione delle lipoproteine HDL ad alta densità, il colesterolo “buono”, che trasportano il colesterolo dai vari organi e tessuti verso il fegato, promuovendone l’eliminazione.

In aggiunta vi sono anche effetti indiretti dello stress, che influisce sulle abitudini alimentari spingendo a gratificarsi con cibi non appropriati, ricchi di nutrienti e che creano una dipendenza insulinica, come cioccolato, dolci, carboidrati.

Non ci sono, quindi, dubbi sul fatto che lo stress sia un nemico per la nostra salute e vada , pertanto, eliminato. Come? Lo scopriremo nel prossimo articolo del nostro blog!

Aumentato rischio cardiovascolare in pazienti con ipercolesterolemia familiare e Coronavirus

Aumentato rischio cardiovascolare in pazienti con ipercolesterolemia familiare e Coronavirus

Evidenze sempre più marcate stanno mettendo in luce che la predisposizione a complicanze cardiache acute correlate a sottostante malattia cardiovascolare aterosclerotica, aumenti significativamente la gravità del COVID-19 in soggetti sensibili.

Nei pazienti COVID-19 ricoverati in ospedale a Wuhan e trattati in unità di terapia intensiva il 25% presentava malattie cardiovascolari e il 58% ipertensione, mentre fra quelli non trattati in terapia intensiva le percentuali erano del 10% e del 22%.

L’ipercolesterolemia familiare (FH) è una malattia ereditaria con una prevalenza stimata di 1 caso su 250 persone nella sua forma eterozigote, la meno grave. È caratterizzata da un aumento permanente, da due a tre volte, della concentrazione plasmatica di colesterolo LDL, che se non trattata induce una malattia cardiovascolare aterosclerotica prematura e un rischio notevolmente aumentato di eventi coronarici acuti nei pazienti di mezza età.

Le ricerche di Vuorio, Watts e Kovanen mostrano evidenze che l’infezione da Coronavirus possa indurre anomalie a lungo termine nel metabolismo dei lipidi e del glucosio, con chiare implicazioni avverse per i pazienti con FH, nei quali, in aggiunta, l’infezione cronica da Chlamydia pneumoniae è associata ad un aumentato rischio di malattia coronarica.

I dati epidemiologici di Wuhan suggeriscono che i pazienti con FH e COVID-19 possano essere a maggior rischio di complicanze cardiache rispetto alla popolazione generale, in particolare se la malattia genetica sottostante non è stata rilevata. Sembra, quindi, che un paziente con ipercolesterolemia familiare possa essere più soggetto a complicanze acute da COVID-19 rispetto a una persona sana di età simile.

I pazienti con FH hanno, in media, livelli più elevati di lipoproteina rispetto alla popolazione generale, e possono quindi avere un rischio più elevato di eventi aterotrombotici mentre sono colpiti dal COVID-19, e anche dopo il recupero.

Nel complesso, nelle malattie infettive vi è una crescente consapevolezza del coinvolgimento dei fattori genetici dell’ospite. Nei pazienti con FH è possibile che esistano varianti del recettore LDL che modulano la risposta immunitaria a lungo termine al COVID-19, come è stato dimostrato per l’infezione da epatite C.

L’associazione inglese HEART UK, nelle informazioni sul COVID-19 recentemente diffuse, ha dichiarato che i pazienti con FH e con diagnosi di malattie cardiache devono essere considerati ad alto rischio, così come gli anziani con FH e i pazienti con FH e comorbidità quali ipertensione, malattie renali croniche o diabete. Infine, è probabile che i pazienti con FH abbiano un aumentato rischio a lungo termine di eventi aterotrombotici in seguito a COVID-19.

Ci sono diverse considerazioni importanti nel trattamento di un paziente con FH affetto da COVID-19, inclusa la necessità di intensificare il trattamento per ridurre il colesterolo a causa della potenziale disfunzione endoteliale coronarica causata dall’infezione virale.