Come abbassare i livelli di omocisteina nel sangue

Come abbassare i livelli di omocisteina nel sangue

Abbiamo visto nel precedente articolo la correlazione tra livelli colesterolo e omocisteina. Ma come vengono regolati i livelli di omocisteina nel sangue?

Esistono diversi fattori che possono portare all’accumulo di omocisteina nell’organismo possiamo dire essere l’alimentazione, spesso carente in alcune vitamine, e uno stile di vita sedentario, corredato da cattive abitudini, possono peggiorare la situazione, così come difetti genetici di varia gravità, situazioni fisiopatologiche (fumo, insufficienza renale conica, psoriasi e ipotiroidismo) e alcuni farmaci.

La presenza di eventuali livelli fuori norma può essere rilevata mediante delle specifiche analisi del sangue, normalmente prescritte dal medico.

Il deficit delle vitamine del gruppo B (vitamina B6, B9, B12) e in particolare dell’acido folico (B9) comporta un aumento dell’omocisteina, associata ad una ridotta sintesi endogena di monossido di azoto dotato di azione vasodilatatrice e ad una più marcata tendenza alla trombofilia. La loro integrazione contribuisce a ridurre i livelli di omocisteina.

L’iperomocisteinemia risulta correlata anche con altre patologie tra cui:

  • maggior rischio di sviluppare demenza senile
  • ritardo dell’intelligenza in bambini in età scolare
  • rischio di malformazioni fetali in gravidanza (difetto della crescita fetale, distacco prematuro della placenta, aborti spontanei)
  • aumento dell’incidenza di fratture ossee di natura osteoporotica.

 

Quali sono i valori normali dell’omocisteina nel sangue?

Quando l’omocisteina plasmatica supera il valore di 12 µmol/L, si parla di iperomocisteinemia: è borderline quando il valore plasmatico di omocisteina è di 10-12 µmoli/l, moderata quando è di 13-30 µmoli/l, intermedia quando è di 30-100 µmoli/l e severa se il valore plasmatico di omocisteina supera le 100 µmoli/l.

 

Cosa fare in caso di iperomocisteinemia?

È importante modificare lo stile di vita ed il comportamento alimentare, ossia:

  •     Aumentare l’assunzione di frutta e verdura ricche di vitamine del gruppo B
  •     Abolire il fumo
  •     Incrementare l’attività fisica
  •     Ridurre il consumo di alcol e caffè.

Dal momento che il metabolismo dell’omocisteina è associato a quello delle vitamine del gruppo B, è necessario consumare alimenti ricchi di acido folico. Via libera, dunque, a frutta e verdura, ma soprattutto verdure a foglia verde, crucifere e alimenti che contengono acido folico, ricordando che con la cottura le vitamine si denaturano. Si consiglia, quindi, di consumare quanto più possibile i cibi crudi o cotti a basse temperature e/o per breve tempo preferendo, per esempio, la cottura al vapore. Inoltre, si tratta di vitamine idrosolubili, quindi si sciolgono nell’acqua che utilizziamo per lavare la frutta e la verdura; non lasciamole, quindi, “in ammollo”.

È necessario, al contrario, ridurre il consumo di grassi saturi, sale e proteine animali soprattutto provenienti da carne rossa, cercando di prediligere le proteine vegetali, contenute ad esempio nei legumi.

In supporto alla dieta, è possibile eventualmente fare affidamento all’integrazione alimentare quotidiana di 0,5-5 mg di acido folico, che può ridurre del 25% i livelli di omocisteina nel sangue. L’associazione con vitamina B12 contribuisce a una ulteriore riduzione del 7% circa.

Vitamina B12 e colesterolo

Vitamina B12 e colesterolo

La vitamina B12, o cobalamina, è una vitamina idrosolubile essenziale. Questo termine indica che non può essere accumulata nell’organismo perché viene elimina attraverso l’urina, ma è necessario assumerla con regolarità quotidianamente attraverso l’alimentazione.

Questa vitamina ha un influsso molto forte sul benessere di tutto l’organismo e sulle sue prestazioni fisiche. Tra le varie funzioni importanti la vitamina B12 contribuisce anche a mantenere normali livelli di colesterolo nel sangue.

 

La vitamina B12 svolge un ruolo importante nel:

  •     Metabolismo degli aminoacidi, degli acidi nucleici e degli acidi grassi
  •     Metabolismo dell’omocisteina trasformandola in metionina e questa funziona contribuisce a regolare i livelli di colesterolo nel sangue. Approfondiremo di seguito in che modo.
  •     Produzione dei globuli rossi che partecipano alla crescita muscolare, donando al muscolo maggiore ossigeno e nutrienti (per ciò gli sportivi la assumono con gli integratori)
  •     Potenziamento del sistema immunitario, in particolare dei globuli bianchi che fondamentali nel combattere batteri, virus e cellule tumorali
  •     Formazione del midollo osseo
  •     Protezione del sistema nervoso nella creazione della guaina mielinica che avvolge i nervi
  •     Proteggere il sistema cardio-circolatorio
  •     Miglioramento della salute del cervello contro la demenza senile
  •     Rigenerazione delle cellule del cuoio capelluto e del bulbo pilifero
  •     Rigenerazione delle cellule delle unghie
  •     Insieme alle altre vitamine del gruppo B aiuta a mantenere sane le cellule nervose e i globuli rossi e in sinergia con l’acido folico (vitamina B9) ha un ruolo nella sintesi di DNA e RNA.

 

Approfondiamo ora i meccanismi attraverso i quali la vitamina B12 agisce nella regolazione dei livelli il colesterolo.

Come sono connessi omocisteina e colestrolo?

L’omocisteina è un aminoacido non proteico che deriva dal metabolismo della metionina, un aminoacido solforato essenziale che viene introdotto nel nostro organismo con la dieta (proteine) attraverso il consumo di carne, uova, latte e legumi. Il suo metabolismo (produzione ed eliminazione) viene regolato grazie all’attività di enzimi e vitamine come i folati (vitamina B9 in forma naturale o sintetica come metiltetraidrofolato) o l’acido folico (forma sintetica della stessa vitamina) e le vitamine del gruppo B, B6, B2 e appunto la nostra cobalamina.

In alcuni casi, che possono dipendere ad esempio da situazioni patologiche, genetiche o alimentari, l’omocisteina può iniziare ad accumularsi nel nostro corpo.

L’innalzamento dei livelli di omocisteina può provocare un’alterazione dello stato di alcune proteine (albumina, emoglobina, immunoglobuline, transferrina, antitripsina e fibrinogeno) e danni sulla parete dei vasi, soprattutto le arterie, facilitando l’adesione del colesterolo.

L’aumento del valore ematico di omocisteina è stato inserito dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) tra i fattori di rischio cardiovascolare, cerebrovascolare e del sistema vascolare periferico (infarti, ictus, trombosi venosa). È considerata anche un aminoacido dannoso per il sistema nervoso centrale.

Quali vitamine fanno abbassare il colesterolo?

Quali vitamine fanno abbassare il colesterolo?

A regolare i livelli di colesterolo contribuiscono come abbiamo in parte visto vari fattori e vari cibi. Tra questi svolgono un ruolo molto importante quelli ricchi di vitamine antiossidanti, in particolare la vitamina A, la vitamina C e la vitamina E.

 

La vitamina A

La vitamina A, o retinolo, fa parte delle vitamine liposolubili, quelle cioè che possono essere accumulate nel fegato e vengono rilasciate a piccole dosi quando necessario. La vitamina A svolge un ruolo molto importante per la vista, poiché insieme ai suoi precursori, i carotenoidi, fa parte dei componenti della rodopsina, la sostanza presente sulla retina che dà all’occhio la sensibilità alla luce. È, inoltre, utile per lo sviluppo delle ossa e per il loro rafforzamento nel tempo, per la crescita dei denti e si distingue per la sua capacità di fornire una risposta immunitaria al nostro organismo. Recenti scoperte scientifiche hanno dimostrato avere anche capacità antitumorali. La si trova, in particolare, nel fegato, nel latte e nei suoi derivati (burro e formaggio) e nelle uova.

Tra gli alimenti particolarmente ricchi di questa vitamina maggiormente utili nella regolazione dei livelli di colesterolo e nella protezione dei vasi sanguigni e delle pareti troviamo olio di fegato di merluzzo, bieta, spinaci, lattuga, frutta e verdura di colore arancione come carote, cachi, melone, albicocche, pesche e zucca.

 

La vitamina E

La vitamina E, o tocoferolo, è anch’essa una vitamina liposolubile, che viene accumulata nel fegato.

Ha proprietà antiossidanti, combatte i radicali liberi e favorisce il rinnovo cellulare. Le sue caratteristiche la rendono un importante strumento di prevenzione al cancro – tra l’altro protegge l’organismo dai danni dell’inquinamento e del fumo di sigaretta – oltre che di assimilazione delle proteine. La vitamina E è sensibile al calore e alla luce, quindi tende a degradarsi in presenza di alte temperature.

Si trova soprattutto nei frutti oleosi (come le olive, le arachidi, il mais, le mandorle e i pinoli) e nei semi di grano e di girasole. La si trova anche nel basilico, nelle albicocche essiccate, nei cereali, in nocciole e noci e nelle verdure a foglia verde come spinaci e cime di rapa.

 

La vitamina C

La vitamina C, o acido ascorbico, appartiene al gruppo delle vitamine cosiddette idrosolubili, quelle cioè che non possono essere accumulate nell’organismo, ma devono essere regolarmente assunte attraverso l’alimentazione.

Oltre a sciogliersi nell’acqua, la vitamina C e sensibile alle alte temperature, per cui si perde del tutto in caso di cottura in acqua.

Grazie ai suoi forti poteri antiossidanti, la vitamina C innalza le barriere del sistema immunitario e aiuta l’organismo a prevenire il rischio di tumori, soprattutto allo stomaco, inibendo la sintesi di sostanze cancerogene. Il suo apporto, inoltre, è fondamentale per la neutralizzazione dei radicali liberi.

La vitamina C è contenuta in agrumi, ananas, fragole, kiwi, ciliegie, radicchio, spinaci, broccoli, pomodori, peperoni, cavoli, cavolfiori, patate soprattutto novelle.

In riferimento alla regolazione dei livelli di colesterolo nel sangue, un focus particolare lo merita proprio quest’ultima vitamina. I risultati di 13 studi clinici pubblicati tra il 1970 e il 2007 realizzati su persone con un livello di colesterolo in eccesso hanno dimostrato che la somministrazione di 500 milligrammi di vitamina C per un periodo minimo di 4 settimane produce una riduzione dei livelli di colesterolo LDL.

Un buon apporto di vitamina C è collegato anche a un aumento del colesterolo “buono” HDL, come già avevano documentato precedenti studi, tra cui una ricerca apparsa su The American Journal of Clinical Nutrition, che aveva verificato l’associazione di elevati livelli di vitamina C nel sangue ad alti valori di colesterolo HDL.

Vi è una correlazione tra celiachia e i livelli di colesterolo?

Vi è una correlazione tra celiachia e i livelli di colesterolo?

La celiachia è una patologia cronica autoimmune caratterizzata da intolleranza al glutine, un complesso proteico presente in molti cereali, come orzo, frumento e segale. A lungo andare la reazione immunitaria produce un’infiammazione che danneggia le strutture fondamentali  dell’intestino tenue, i villi intestinali,  causandone un appiattimento e di conseguenza il corretto assorbimento di alcuni nutrienti (malassorbimento). Rispetto a qualche tempo fa, quando era considerata una patologia pediatrica abbastanza rara, oggi interessa una fascia sempre più ampia della popolazione, anche grazie a più accurati strumenti di diagnosi. Colpisce, infatti, circa l’1% della popolazione. In Italia oltre 200.000 pazienti soffrono di celiachia, ma, tenendo conto dei casi non diagnosticati (per esempio gli asintomatici), il numero effettivo si aggirerebbe sui 600.000.

Segni e sintomi della celiachia possono variare notevolmente da soggetto a soggetto. Tra i sintomi classici vi sono diarrea, gonfiore addominale e meteorismo, crampi all’addome e perdita di peso.

 

La sindrome metabolica è collegata alla celiachia?

In letteratura vi sono scarsi dati sull’incidenza della malattia cardiovascolare nella popolazione celiaca. Più spesso gli studi si sono soffermati sulla correlazione tra celiachia e l’insorgenza di neoplasie. Alcune osservazioni mostrano l’aumento della frequenza di cardiopatie dilatative severe in pazienti celiaci. Nello studio pilota del 2011 “Segni precoci di aterosclerosi in pazienti affetti da morbo celiaco” di De Marchi et al. effettuato su 12 pazienti celiaci è stata presa in considerazione l’alterazione di alcuni indici di rischio cardiovascolare, sia di tipo metabolico che strumentale alla diagnosi e dopo dieta priva di glutine. Lo studio mostra nei pazienti celiaci un incremento di omocisteina e la riduzione del colesterolo HDL. Il regime dietetico ha evidenziato un incremento del colesterolo HDL e del colesterolo totale. La risoluzione della flogosi intestinale permette, infatti, un miglior assorbimento dei lipidi e un profilo favorevole nel rapporto colesterolo totale/HDL. L’iperomocisteinemia potrebbe essere giustificata da un basso assorbimento vitaminico. Non si assiste tuttavia ad un miglioramento di tale parametro dopo dieta. Probabilmente il meccanismo di recupero dell’assorbimento vitaminico e la correzione di questo valore potrebbe richiedere tempi più lunghi rispetto a quelli dello studio.

I pazienti celiaci mostrano anche un incremento dell’IMT (intima-media thickness), indice di aterosclerosi subclinica incipiente, probabilmente correlato allo stato flogistico cronico e che, infatti, si riduce al termine del periodo di astensione dal glutine. Risulta aumentata anche l’espressione di citochine connesse con la flogosi indotte dalla disfunzione endoteliale e dall’aumento dello stress ossidativo presente nelle condizioni di flogosi cronica. Al termine del periodo di dieta si rileva una evidente inversione del processo legato all’incremento dell’IMT con iniziale regressione dell’ispessimento. I pazienti oggetto dello studio, inoltre, presentavano iuna ridotta vasodilatazione endotelio dipendente flusso mediata. Tale condizione è indicativa di aumentato rischio cardiovascolare ed è verosimilmente collegata con la condizione di flogosi cronica e con le conseguenze del malassorbimento. La dieta prive di glutine è stata in grado di modificare anche tale parametro, normalizzandolo.

Questo studio mostra dati significativi riguardanti il rischio vascolare in presenza di malattia celiaca e può costituire un modello sperimentale interessante da implementare in quanto mediante approccio dietetico è possibile correggere una condizione di disfunzione endoteliale indotta da meccanismi autoimmuni.

Un altro studio pubblicato più di recente sull’American Journal of Medicine che analizza i dati del loro profili lipidici di 132 pazienti celiaci, sia uomini che donne prima e dopo 20 mesi di dieta, conferma i risultati dello studio precendente e cioè che i pazienti celiaci hanno livelli inferiori di colesterolo totale ed in particolare del colesterolo HDL che viene prodotto per la maggior parte proprio nell’intestino, l’organo colpito nei celiaci.

Il cambiamento della dieta porta ad un aumento del colesterolo totale, primariamente dovuto a un aumento delle HDL dovuto a un migliore assorbimento dei grassi saturi dagli alimenti. L’effetto si osserva sia negli uomini che nelle donne e solo negli uomini è presente un lieve aumento anche dell’LDL.

Secondo gli autori la dieta priva di glutine non sarebbe in grado di modificare il rischio di infarto, perché non comporta un aumento del colesterolo cattivo. Il dato si aggiunge a studi precedenti che hanno dimostrato come nei soggetti celiaci sotto terapia il rischio di malattie ischemiche del miocardio si riduca del 40%. Anche se servono altri studi che confermino questi dati, sembra che a una più precoce e accurata diagnosi di celiachia non corrisponderà un aumento nell’incidenza di malattie cardiache.

L’insulino-resistenza

L’insulino-resistenza

Normalmente, dopo un pasto, i carboidrati vengono metabolizzati in glucosio ed altri zuccheri semplici, che verranno assorbiti a livello intestinale. Questo causa l’innalzamento dei livelli di glucosio nel sangue (glicemia), che stimola le cellule beta del pancreas a rilasciare insulina in circolo. L’insulina è rilasciata in quantità proporzionali al contenuto ed al volume del pasto ingerito. L’insulina favorisce l’ingresso del glucosio nelle cellule, dove può essere utilizzato come fonte energetica. Non appena il glucosio entra nelle cellule e viene metabolizzato, i livelli di glicemia diminuiscono e conseguentemente anche il rilascio di insulina

L’insulina agisce in combinazione con il glucagone, un altro ormone pancreatico, per mantenere i livelli di glucosio nel sangue entro un intervallo ristretto.

L’insulino-resistenza è una condizione che si viene a creare quando le cellule dell’organismo presentano una scarsa sensibilità all’insulina. Pertanto, il glucosio non riesce ad essere assorbito dalle stesse in risposta all’azione esercitata dall’ormone e rimane a livello ematico. Il corpo reagisce rilasciando sempre più insulina per aiutare il glucosio ad entrare nelle cellule, ma il risultato è la presenza di livelli più alti del normale sia di insulina che di glucosio nel sangue.

I ricercatori stanno ancora cercando di individuare cosa causi l’insulino-resistenza, che sembra essere legata a diversi fattori ormonali, genetici o farmacologici.

Nella maggior parte dei casi, il pancreas riesce a sopperire alla maggior richiesta di insulina per molti anni  per cui l’iperinsulinemia compensa l’insulino-resistenza e i soggetti con insulino-resistenza non sviluppano il diabete. Tuttavia, quando la risposta insulinica non è più adeguata e la richiesta al pancreas supera la sua capacità di produrre glucosio. si instaura uno stato iperglicemico persistente, che può progressivamente evolvere verso il diabete mellito di tipo 2.

Le cause che determinano insulino-resistenza non sono totalmente note. L’origine sembra multifattoriale, principalmente riconducibile all’obesità ed alla mancanza di esercizio fisico, con coinvolgimento anche di fattori genetici ed etnici. Anche l’eccesso di colesterolo contribuisce all’insulino-resistenza poichè influenza la sensibilità delle cellule all’insulina.

Un’eccessiva concentrazione di glucosio nel sangue, anche quando non è tale da consentire la diagnosi di diabete, interferisce con numerosi processi metabolici. Infatti, l’insulino-resistenza rappresenta un fattore di rischio anche per sindrome metabolica, obesità, dislipidemie (l’insulina elevata innalza i livelli dei trigliceridi e di altri lipidi nel sangue), ipertensione arteriosa (l’insulina elevata interferisce con il modo in cui lavorano i reni, provocando un innalzamento della pressione arteriosa), steatosi epatica non alcolica e sindrome dell’ovaio policistico.

Che cos’è la sindrome metabolica

Che cos’è la sindrome metabolica

La abbiamo nominata altre volte nel nostro blog ma vale la pena, parlando di colesterolo, di approfondire il concetto di sindrome metabolica.

Quando parliamo di sindrome metabolica non parliamo di una malattia specifica ma di una serie di fattori di rischio che se presenti contemporaneamente aumentano la probabilità di sviluppare patologie cardiovascolari e diabete.

Per sindrome metabolica s’intende una condizione ad elevato rischio cardiovascolare, caratterizzata dalla presenza di un  gruppo di fattori di rischio legati al sovrappeso e all’obesità, che aumentano cioè le probabilità di malattie cardiache ed altri problemi di salute come il diabete e l’ictus. I fattori di rischio sono comportamenti o condizioni che aumentano la probabilità di incorrere in una malattia.

Il termine metabolica si riferisce ai processi biochimici coinvolti nel normale funzionamento del corpo, ma ricordiamo che questa malattia è conosciuta anche con altri nomi:

  •     Sindrome X
  •     Sindrome da insulino–resistenza
  •     Sindrome Dismetabolica
  •     Girovita da Ipertrigliceridemico
  •     Sindrome dell’ obesità
  •     CHAOS
  •     Sindrome di Reaven

 

I cinque fattori di rischio su cui si basa la diagnosi sono:

  1. accumulo eccessivo di grasso corporeo, soprattutto di grasso viscerale, all’altezza dell’addome, che cambia il rapporto peso/altezza con girovita maggiore di 94 centimetri per l’uomo e 80 centimetri per la donna o BMI maggiore di 30;
  2. elevati valori di LDL, il colesterolo cattivo, e bassi di HDL, cioè di colesterolo buono (meno di 40 mg/dl nell’uomo e 50 mg/dl nella donna);
  3. alti valori di trigliceridi (superiore a 250 mg/dl);
  4. ipertensione arteriosa con valori superiori a 140/90 mmHg;
  5. resistenza all’insulina con conseguente glicemia a digiuno superiore a 100 mg/dl.

 

La diagnosi viene formulata in presenza di tre o più di questi fattori di rischio. Quanti più fattori di rischio sono presenti, tanto maggiori saranno le probabilità di sviluppare

  •     patologie cardiache,
  •     diabete,
  •     ictus.

Una persona con sindrome metabolica ha un rischio due volte maggiore di soffrire di eventi cardiovascolari e cinque volte maggiore di sviluppare il diabete rispetto a una persona sana.

Il complesso processo che lega questo gruppo di condizioni coinvolte nella sindrome metabolica è tuttora in corso in moltissimi studi, ma di certo, come il nome suggerisce, la patologia è legata al metabolismo corporeo, influenzato principalmente dall’insulino-resistenza. Ma di questo parleremo nel nostro prossimo approfondimento.

Colesterolo troppo basso: rischi per la salute associati all’ipocolesterolemia

Colesterolo troppo basso: rischi per la salute associati all’ipocolesterolemia

Abbiamo già ampiamente discusso nel nostro blog di cosa significhi avere alti livelli di colesterolo nel sangue, in particolare del colesterolo “cattivo” LDL e dei rischi associati, in particolare sulla salute del cuore. Ma cosa succede, invece, se il valore del colesterolo è troppo basso? Quali sono i rischi per la nostra salute?

Il colesterolo basso, in termini medici definito ipocolesterolemia, è un disordine metabolico caratterizzato da basse concentrazioni di colesterolo nel sangue. Si parla di ipocolesterolemia quando i livelli di colesterolo nel sangue scendono al di sotto dei 130 mg/dl.

Per quanto riguarda, invece, soltanto il colesterolo buono, si parla di colesterolo HDL basso quando il suo livello è inferiore a 40 mg/dL (1 mmol/L) negli uomini e inferiore a 50 mg/dL (1,3 mmol/L) nelle donne.

Mentre l’ipercolesterolemia è piuttosto comune negli abitanti dei Paesi industrializzati a causa dei ben noti eccessi alimentari, il problema opposto di avere livelli di colesterolo troppo bassi si registra soprattutto nelle regioni afflitte da denutrizione.

Numerosi studi stanno cercando di scoprire di più sulla connessione tra colesterolo troppo basso e rischio per la salute. Resta da stabilire se l’ipocolesterolemia sia in parte responsabile di determinate patologie o ne rappresenti invece una conseguenza, in quanto in quest’ultimo caso i livelli bassi rappresenterebbero una sorta di campanello d’allarme di un cattivo stato di salute e non un possibile elemento per lo sviluppo di una specifica malattia. In ogni caso, ecco le patologie associate all’ipocolesterolemia:

  • Ipertiroidismo (iperattività della tiroide);
  • Alcune malattie epatiche come cirrosi, epatiti e insufficienza epatica;
  • Sindrome da malassorbimento;
  • Celiachia;
  • Malnutrizione;
  • Abetalipoproteinemia e ipobetalipoproteinemia (due rare malattie genetiche);
  • Sindrome di Smith-Lemli-Opitz;
  • Leucemie e altre patologie del sangue;
  • Alcuni tumori come quello al cervello
  • Depressione
  • Ansia
  • Parti prematuri in donne in gravidanza e possibilità di nascita di neonati sottopeso

Vi è poi un’ipocolesterolemia “falsa” o iatrogena, in cui i bassi livelli di colesterolo sono dovuti all’assunzione di determinati farmaci.

 

Ipocolesterolemia e tendenza al suicidio

Un recente studio scientifico ha osservato che livelli più bassi di colesterolo totale sono stati osservati in persone affette da disturbo bipolare. Non solo: avere il colesterolo inferiore alla soglia di normalità di 200 mg/dl, può aumentare il rischio di suicidio in soggetti già predisposti. La ricerca, pubblicata su Frontiers in Psychiatry, ha monitorato la situazione di 632 soggetti, 432 dei quali avevano alle spalle un tentativo di suicidio. Il colesterolo è una molecola che ricopre un ruolo decisivo sia per la sintesi delle membrane cellulari, sia per la secrezione e l’efficienza di diversi ormoni. I ricercatori hanno evidenziato che bassi livelli di colesterolo possono provocare un’infiammazione del sistema nervoso centrale, con alterazioni riguardanti la trasmissione della serotonina e, di conseguenza, una capacità ridotta di tenere sotto controllo gli impulsi violenti.

 

Il ruolo fondamentale della prevenzione

Come mantenere un corretto livello di colesterolo nel sangue? Seguire una dieta sana e bilanciata, tenere sotto controllo il peso e praticare attività fisica almeno tre volte alla settimana.

È bene quindi scegliere gli alimenti con pochi grassi e ricchi di fibre e, avvalersi anche dell’ausilio di specifici integratori alimentari a base per esempio di fermenti lattici vivi e riso rosso fermentato come Cholenor. Cicli periodici di Cholenor aiutano a regolare i livelli di colesterolo, prevenendo, non solo l’innalzamento, ma anche un eccessivo abbassamento lipidico. L’azione combinata dei probiotici che favoriscono l’equilibrio della flora batterica intestinale insieme alla monacolina k, sostanza prodotta dalla fermentazione del riso rosso, contribuisce infatti a mantenere normali i livelli di colesterolo nel sangue.

Pillola anticoncezionale e aumento del colesterolo nel sangue

Pillola anticoncezionale e aumento del colesterolo nel sangue

La pillola anticoncezionale, o pillola contraccettiva, agisce principalmente inibendo l’ovulazione attraverso il blocco della sintesi di due ormoni, l’ormone follicolo stimolante (Follicle Stimulating Hormon -FSH-) e l’ormone luteinizzante (Lutheinizing Hormon -LH-), entrambi secreti dall’ipofisi, una piccola ghiandola che si trova alla base del cervello. In aggiunta a questo meccanismo, che di per sé sufficiente a inibire l’ovulazione, la pillola agisce anche in altri due modi: rendendo impenetrabile agli spermatozoi il muco prodotto all’interno del canale cervicale e rendendolo la mucosa dell’utero inadatta all’annidamento dell’ovocita.

Esistono due tipologie principali di pillola anticoncezionale:

  • La pillola anticoncezionale combinata (pillola estro progestinica), che contiene una versione sintetica degli ormoni estrogeno e progesterone
  • La pillola progestinica (o minipillola), che contiene soltanto una versione sintetica dell’ormone progesterone.

La risposta alla domanda “La pillola anticoncezionale aumenta il colesterolo nel sangue?” è si e no.

La componente estrogenica e la componente progestinica del contraccettivo ormonale hanno un’attività opposta sul metabolismo del colesterolo. Pertanto, gli effetti della somministrazione della pillola anticoncezionale sull’assetto lipidico finale sono la conseguenza dell’equilibrio estro-progestinico presente all’interno del composto.

Con l’assunzione della pillola anticoncezionale combinata ad avere l’influenza maggiore è l’estrogeno, che sarebbe in grado di aumentare leggermente i livelli di colesterolo buono HDL e diminuire nel contempo quello cattivo LDL. Quindi, a fronte di un lieve aumento del colesterolo totale nel sangue, le pillole anticoncezionali combinate producono un miglioramento del profilo lipidico.

Diversamente con l’assunzione della pillola anticoncezionale progestinica, l’incremento del colesterolo totale ematico è frutto di un lieve aumento delle LDL.

 

Estrogeni e colesterolo

In particolare, gli estrogeni agiscono a livello del fegato aumentando la sintesi di una proteina detta apoproteina A1, che rappresenta il primum movens nella sintesi dell’HDL e diminuendo l’attività della lipasi epatica, un enzima deputato al catabolismo delle HDL.

Sempre nel fegato, gli estrogeni favoriscono, inoltre , la sintesi di trigliceridi e quindi delle lipoproteine ricche in trigliceridi.

Invece, a livello periferico gli estrogeni favoriscono un aumento dei recettori per le LDL ed una loro maggiore catabolizzazione. Quindi, il quadro lipidico relativo ai valori del colesterolo nel sangue usando la pillola con estrogeni si riassume in un aumento del rapporto HDL/LDL.

 

Progesterone e colesterolo

Viceversa, la somministrazione di progestinici antagonizza l’effetto degli estrogeni sul metabolismo del colesterolo, aumentando i livelli di LDL. Tale antagonismo è maggiormente evidente per i progestinici con spiccate proprietà androgeniche. Infatti, la componente androgenica dei progestinici diminuisce la sintesi epatica dell’apoproteina A1, aumenta l’attività della lipasi epatica, riduce la sintesi di trigliceridi, e riduce i recettori periferici delle LDL. Pertanto, il rapporto HDL/LDL risulta più basso.

 

Pillola si o pillola no?

Queste alterazioni del metabolismo del colesterolo e in particolare l’aumento delle LDL hanno fatto supporre i ricercatori che gli estrogeni e i progestinici determinassero anche un aumentato rischio cardiovascolare.

In realtà, è stato dimostrato che la pillola anticoncezionale non determina di per sé un incremento di tale rischio e l’innalzamento dei livelli di colesterolo non può essere considerato significativo e tale da pregiudicare lo stato di salute della donna in assenza di condizioni associate a rischio cardiovascolare.

L’assunzione della pillola è, quindi, sconsigliata solo in presenza di fattori che rappresentano loro stessi un aumentato rischio vascolare. In particolare:

  • Età superiore ai 35 anni
  • Fumo di sigaretta
  • Ipertensione
  • Obesità
  • Diabete mellito
  • Storia personale o familiare di trombosi venosa
  • Malattie croniche del fegato (epatite, cirrosi)
  • Tumori in corso o già trattati in passato, in particolare del seno e dell’utero.
I danni del fumo di sigaretta sul sistema cardiocircolatorio e non solo

I danni del fumo di sigaretta sul sistema cardiocircolatorio e non solo

L’assunzione costante e prolungata di tabacco è in grado di incidere sulla durata della vita media oltre che sulla qualità della stessa: 20 sigarette al giorno riducono di circa 4,6 anni la vita media di un giovane che inizia a fumare a 25 anni. Ovvero per ogni settimana di fumo si perde un giorno di vita.

Oltre alla nicotina e al monossido di carbonio, veleno inodore che  si forma dalla sua combustione, la sigaretta contiene circa 4800 sostanze dannose. La nicotina è una droga che induce una dipendenza fisica pari a quella di eroina, cocaina o altri oppiacei. Numerosi studi hanno evidenziato le zone del cervello su cui la nicotina svolge il suo effetto, determinando piacere, aumento della concentrazione, benessere e riduzione dell’ansia. Provare a smettere di fumare determina l’insorgenza di sintomi di astinenza: voglia impellente di accendere una sigaretta, insonnia, irritabilità, ansia, cefalea.

Secondo l’Organizzazione Mondiale di Sanità la dipendenza da nicotina viene definita in base a 3 criteri:

tentativo fallito di smettere di fumare;

difficoltà nel controllare l’uso di tabacco;

comparsa di sintomi d’astinenza alla sospensione.

La dipendenza psicologica si instaura successivamente alla dipendenza fisica: una serie di situazioni (caffè, bevande alcoliche, stare con gli amici, ecc.) riattivano nell’individuo il desiderio di fumare, diventando dei veri e propri rituali nella quotidianità e creando un circolo vizioso, difficile da rompere. La sigaretta diventa così un oggetto fondamentale della vita di un individuo, una “stampella psicologica”, un naturale antidepressivo che aiuta ad affrontare i momenti difficili o a godere meglio di gioie della propria vita. Dimenticando così spesso le caratteristiche negative e tossiche della sigaretta.

Occupandoci in questo blog di colesterolo e danno endoteliale, approfondiremo i danni del fumo sull’apparato cardiocircolatorio, ma gli effetti della nicotina e delle altre sostanze chimiche contenute nelle sigaretta si estendono a molti altri organi.

L’esposizione cronica al fumo rappresenta uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare: un fumatore ha un rischio di mortalità, a causa di una coronaropatia, superiore da 3 a 5 volte rispetto a un non fumatore.

La nicotina provoca danni  a livello dei vasi sanguigni con aumento della reattività piastrinica e dei livelli di fibrinogeno, aumento della viscosità del sangue, aumento dei livelli delle LDL e riduzione di quelli delle HDL e stimolazione della vasocostrizione. Il monossido di carbonio diminuisce l’ossigenazione del sangue.

Questo processi facilitano la formazione di  placche aterosclerotiche con tutte le possibili conseguenze di cui abbiamo parlato nei procedenti articoli: ipertensione arteriosa, ictus, cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, aneurisma aortico. La patologia aterosclerotica più frequentemente associata al fumo è l’aneurisma dell’aorta addominale. La formazione di placche è frequente negli arti inferiori, dove può causare claudicatio intermittens, cioè dolore alle gambe quando si cammina.

Tra i maggiori effetti non riguardanti il sistema cardiocircolatorio annoveriamo:

Gli effetti sull’apparato broncopolmonare: tumore polmonare e malattie respiratorie non neoplastiche, tra cui la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), enfisema polmonare, episodi asmatici, infezioni respiratorie ricorrenti a causa della riduzione delle difese immunitarie

L’aumento del rischio di insorgenza di altri tipi di tumore: tumori del cavo orale e della gola, dell’esofago, del pancreas, del colon, della vescica, della prostata, del rene, del seno, delle ovaie e di alcune leucemie.

Risultano favorite l’insorgenza di ulcera gastrica e di riacutizzazioni nei pazienti affetti da malattia di Crohn

L’aumento del rischio di sviluppo e progressione di un precoce danno renale diabetico (albuminuria) e per il peggioramento della retinopatia nei giovani soggetti diabetici.

Danni sulla sessualità maschile con rischio di impotenza, specie quando associata a patologie cardiovascolari e relative terapie farmacologiche.

Effetti sull’apparato riproduttivo femminile, provocando menopause più precoci di circa 2 anni per alterazione della normale produzione di ormoni sessuali femminili, rischio maggiore di sterilità e ritardo nel concepimento, rischio di trombosi in associazione all’uso di contraccettivi orali.

Effetti in gravidanza e in allattamento: aumentato rischio di mortalità fetale, distacco della placenta, rottura precoce delle membrane, parto prematuro, di bambini nati morti e di avere neonati sottopeso (con una riduzione di circa 200-250 grammi). Inoltre, riduce la produzione di latte e la durata dell’allattamento.

Danni estetici: gengive bianche, ingiallimento dei denti, invecchiamento della pelle, aumento dell’irsutismo del volto.

Sintomi e diagnosi dell’aterosclerosi

Sintomi e diagnosi dell’aterosclerosi

Sintomi

L’aterosclerosi può interessare tutte le arterie di grosso e medio calibro, incluse le arterie coronarie, carotidi e cerebrali; l’aorta; le sue branchie; e le arterie maggiori delle estremità.

In generale, le placche coronariche instabili sono ricche di macrofagi, possiedono uno spesso core lipidico e un cappuccio fibroso sottile; esse restringono il lume vascolare < 50% e tendono alla rottura in modo imprevedibile. Le placche instabili carotidee hanno un’analoga composizione, ma tipicamente le conseguenze a esse riferibili sono dovute alla stenosi grave e all’occlusione o alla deposizione di trombi piastrinici più che alla rottura. Le placche a basso rischio di solito hanno un cappuccio e un minore contenuto lipidico. Spesso tali placche restringono il lume vascolare > 50% e possono provocare angina da sforzo stabile e prevedibile.

La sintomatologia, quindi, è varia e dipende dall’arteria interessata. Comprende sintomi ischemici transitori come angina da sforzo stabile, attacchi ischemici transitori, claudicazione intermittente o dolore a riposo agli arti inferiori, sintomi di angina instabile, infarto miocardico, ictus ischemico.

In caso di rottura di placche instabili con occlusione improvvisa un’arteria di grosso calibro e sovrapposizione di trombosi o embolia, l’interessamento aterosclerotico della parete arteriosa può causare la formazione di aneurismi e dissezione arteriosa che può manifestarsi con dolore, massa pulsante, assenza dei polsi o morte improvvisa.

 

Diagnosi

Come primi elementi diagnostici i pazienti sono valutati per i fattori di rischio dell’aterosclerosi mediante:

  1.     Anamnesi ed esame obiettivo
  2.     Profilo lipidico a digiuno
  3.     Livelli di glicemia e di emoglobina glicosilata (HbA1C)
  4.     Livelli di proteina C-reattiva ≥ 3,1 mg/dL (≥ 29,5 nmol/L) come marker sierici di infiammazione

 

Nei pazienti sintomatici per ischemia il grado e la sede dell’occlusione vascolare sono valutati mediante diversi test invasivi e non invasivi.

 

Test non invasivi

Le tecniche non invasive che possono valutare la morfologia, le caratteristiche e la vulnerabilità della placca comprendono:

  •     Ecografia vascolare tridimensionale
  •     Angiografia con tomografia computerizzata
  •     Angio-RM
  •     Immunoscintigrafia con traccianti radioattivi che si localizzano nella placca a rischio di rottura
  •     Studio della vascolarizzazione tramite PET (positron emission tomography)

 

Test invasivi

Tra i test invasivi catetere-guidati annoveriamo:

  •     Ecografia intravascolare, che utilizza un trasduttore ecografico sulla punta di un catetere per produrre immagini della parete e del lume dell’arteria
  •     Angioscopia, che utilizza speciali cateteri a fibre ottiche che possono visualizzare direttamente la superficie arteriosa
  •     Termografia a placche, che si utilizza per rilevare l’aumento della temperatura nelle placche con infiammazione attiva
  •     Tomografia a coerenza ottica, che utilizza la luce laser a infrarossi per l’imaging
  •     Elastografia, che viene utilizzata per identificare placche morbide, ricche di lipidi

 

Fattori di rischio negli asintomatici

Nei pazienti con fattori di rischio per l’aterosclerosi ma asintomatici per ischemia le linee guida raccomandano uno screening del profilo lipidico nei pazienti con una delle caratteristiche seguenti:

  •     Uomini ≥ 40 anni
  •     Donne ≥ 50 anni e donne in postmenopausa
  •     Diabete di tipo 2
  •     Anamnesi familiare di ipercolesterolemia familiare o malattia cardiovascolare prematura (ossia, età di insorgenza < 55 anni nel parente di primo grado maschile o < 65 anni in parente di 1o grado femminile)
  •     Sindrome metabolica
  •     Ipertensione
  •     Condizioni infiammatorie croniche